Recensione: Freeman

Di Incyde - 4 Maggio 2005 - 0:00
Freeman
Band: Labyrinth
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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75

I Labyrinth ritornano in pista con quest’ultima fatica intitolata Freeman , disco auto-prodotto e distribuito dalla spagnola Arise. Si parlava di svolta completa rispetto al passato, di allontanamento da quei vincoli che l’etichetta precedente aveva imposto, e dalla dipendenza psicologica da questi ed i Labyrinth hanno fatto un lavoro personale, dall’inizio alla fine, eterogeneo, vario, pieno di sentimento e di rabbia. Altro handicap la volontà di far dimenticare Olaf Thorsen, sostituito da Pier Gonnella alla chitarra. In realtà questo problema non ha gravato perché il combo nostrano ha suonato pensando prevalentemente alla musica, fregandosene dei paragoni, dei raffronti e di tutto il resto.

Il risultato è un amalgama decisamente innovativo rispetto al passato, composizioni molto belle coadiuvate da un Roberto Tiranti sugli scudi. Il suono purtroppo mi è sembrato insufficiente. Addirittura peggiore di quello sentito su “Labyrinth”. Il missaggio è un po’ approssimativo e penalizza pesantemente alcuni brani tanto da comprometterne il risultato finale. Le idee di fondo sono state “sporcate” da questo problema; peccato perché poteva sicuramente essere il disco della conferma internazionale di una band dalle indiscusse potenzialità.
L.Y.A.F.H. è un classico pezzo power prog oriented senza molte pretese ma con degli spunti interessanti che lasciano intravedere la nuova attitudine della band e su Deserter ci sono ulteriori spunti, stavolta più curati e che sollevano il livello del brano ma, se da una parte si scorgono delle parti di tastiera insolite e azzeccate, l’amalgama sonoro risente gravemente del missaggio generale.
Con Dive in Open Water sembra che il disco cominci a decollare su canoni più elevati; ancora un lavoro superlativo di De Paoli alla tastiera e tutto bene sino alla fine quando i nostri troncano il pezzo nel momento più bello… Incredibile! Il solo prima dell’ultimo ritornello è bellissimo ma il finale lascia davvero senza parole. Una scelta voluta, a detta dei Labyrinth, secondo me una vera e propria “falla”.
La title track è positiva per composizione e arrangiamento. Particolare attenzione è riposta ai fill-in elettronici ed alla voce di un grande Tiranti che dimostra la sua evoluzione canora. Pezzo dall’arrangiamento leggero e quindi non penalizzato dal missaggio, ma curatissimo e di assoluto valore.
Con M3 finalmente il disco decolla. Si esemplifica l’idea espressa parzialmente nei primi 3 brani e nell’album “Labyrinth” ed è da sottolineare ancora una volta il lavoro alla tastiera, l’arrangiamento delle chitarre è ridotto all’essenziale ma innovativo e piacevole. Peccato per il solo di chitarra al quale viene riservato poco spazio. Ancora un grande Tiranti sempre più proiettato verso un cantato particolare ed assolutamente personale, frutto delle ultime esperienze parallele.
Face and Pay esplode con una ritmica pesantissima, doppia cassa e tappeto sonoro che sfocia in una linea melodica intensa ed articolata. Anche in questo brano ci sono trovate inusuali e pregevoli che riconducono ad un refrain orecchiabile. Intermezzo strumentale con accenni jazz che impreziosiscono notevolmente.
Malcom Grey è un brano lento ma pesantissimo per l’angoscia e senso di irrealtà che si respira per tutta la sua durata. Talvolta sognante altre maligno. Il vocalist qui raggiunge l’apice della propria espressività per un pezzo dipinto in maniera suadente ma con tinte forti. Effetti sonori bellissimi e azzeccati per esemplificare il brano (uno è chiaramente quello di chitarra di “Orion” dei Metallica ma utilizzato in modo differente).
La successiva Nothing New ritorna sugli schemi più tipici del power anche se l’arrangiamento rimane personale e piacevole e come già predetto, qui ritornano ad essere rilevanti il missaggio e la pulizia sonora che penalizzano l’ensemble. Infidels e Meanings chiudono infine degnamente un platter che deve comunque essere “vivisezionato” per bene prima del giudizio finale.

Tutti gli elementi positivi della nuova personalità dei Labyrinth esplodono con questo Freeman senza compromessi. C’è l’elettronica, le variazioni melodiche del cantato, l’arrangiamento curato e molti aspetti che fanno di questo album un prodotto valido. Un album dai quali testi si evince chiaramente la filosofia che li ha spinti a comporre un disco così personale, senza mirare ad un pubblico specifico e senza una motivazione premeditata.

Tracklist:

  1. L.Y.A.F.H.
  2. Deserter
  3. Dive In Open Waters
  4. Freeman
  5. M3
  6. Face And Pay
  7. Malcolm Grey
  8. Nothing New
  9. Infidels
  10. Meanings

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