Recensione: Fresh Cream
Prima della nascita dell’Heavy Metal, prima del boom dell’Hard Rock e prima ancora di Deep Purple e Led Zeppelin, vi erano i Cream. La band, nata nell’estate del 1966 e morta due soli anni dopo, viene vista a quasi quarant’anni dalla sua fondazione come forse il vero punto di partenza dell’Hard Rock Europeo così come Hendrix lo fu parallelamente nel Nord America. Visti anche come il primo “supergruppo”, i Cream erano un terzetto formato dal chitarrista Eric Clapton, dal batterista Peter “Ginger” Baker e dal bassista e vocalist Jack Bruce, tutti musicisti dal talento individuale invidiabile, ma dotati anche di un grande ego ed individualismo, fattore che porterà, come detto, ad uno scioglimento precoce. Uscito nel 1967, Fresh Cream è il full lenght d’esordio dei 3 inglesi, disco destinato a divenire una icona da collezione, soprattutto negli Stati Uniti, ove il successo della band, anche dal vivo, fu maggiore che non in patria, ove comunque ebbe un grandissimo seguito, soprattutto dalle giovani masse in cerca di qualcosa di nuovo. Ma che musica suonavano i Cream? Definirlo Hard Rock nel senso più classico del termine, sebbene la band entri a pieno titolo in questo movimento musicale, è una follia. Infatti si sente chiaramente che ci troviamo davanti un lavoro di forte sperimentazione, un rock “arcaico”, dove ancora si cercava la perfetta affinità tra gli strumenti. La matrice blues è ancora perfettamente percepibile ed identificabile, tanto da essere addirittura dominante su quella rock in qualcuna delle numerose (e abbastanza brevi) tracce. Sono però da segnalare, a volte a scapito della fluidità complessiva delle tracks, le prestazioni dei musicisti, davvero avanti vent’anni rispetto ai tempi che erano. A livello di vocals siamo sul discreto, canta soprattutto Baker ma tutti fanno la loro parte, sono frequenti i coretti, ma il risultato non è sempre paragonabile (anzi) a quello del suonato.
Come opener di “Fresh Cream” ci troviamo davanti a un pezzo che fu oggetto anche di un singolo, il primo del combo, ovvero “I Feel Free”. Subito si capisce come sarà l’andamento della traccia, e dell’album, ovvero totalmente imprevedibile. Aperta da più voci e sostenuta dal picchiare delle bacchette della batteria fra di loro, la song esplode nella sua leggerezza, che ricalca quella di band dell’epoca decisamente più soft, aggiungendovi quel tocco di elettricità che però fa la differenza. Splendida la batteria, e grandi cambi di tempo all’interno di tutto il brano, cambi che si impreziosiscono in virtù del fatto che sono del tutto inaspettati. Altro buon drumming, accompagnato da un arpeggio molto vivace di Clapton, quello che ci fa addentrare nell’ottima “N.S.U.”. Gran lavoro del basso, in secondo piano, salvo il piccolo assolo dedicatogli, ma assolutamente fondamentale, così come è ispiratissimo l’assolo del buon Eric. Traccia lentissima (come lo si può intuire dal nome) è “Sleepy time time”, una vera e propria ninna nanna psichedelica, con una lead guitar pulitissima nell’esecuzione. Sebbene possa sembrare noisosa a primo ascolto, bisogna capire che è proprio quello che i Cream volevano ottenere, portare l’ascoltatore tra le braccia di Morfeo (sennò non l’avrebbero mai chiamata Sleepy time time). Ancora forti le influenze blues, così come lo sono nella successiva “Dreaming”, estremamente melodica e dai passaggi splendidamente legati fra di loro. A livello compositivo non è eccezionale se paragonata alle ballate di oggi, ma il fascino che suscita questa Dreaming, nei suoi 2 minuti, è davvero notevole. “Sweet Wine” è la prima canzone veramente rockeggiante dell’album, un mid tempo dall’ottima batteria e dal pregevole songwriting, che evidenzia come accennato prima un’evoluzione dello stile e della potenza musicale, più raffinata e meno melensa dei precedenti componimenti. Lunghissimo e ben eseguito il solo. Cambia lo strumento dominante nella buona anche se ridondante “Spoonful”. Infatti abbiamo, per la prima volta, il basso a trascinare la baracca, una chitarra abbastanza in ombra, salvo le rifiniture, e drums costanti. Piuttosto lenta, Spoonful si distingue per il suo sapore country, da vecchio West. Molto più briosa e bluesy rock è “Cat’s Squirrel”, rapida “quasi strumentale” (ad eccezione di poche parole) nella quale i tre musicisti inglesi si esprimono al meglio. I temi sonori non sono estremamente vari, ma sono decisamente ben interpretati, lasciando una sensazione di estro ed eclettica decisamente fuori dal comune. Molto Rock’n’roll, pur nella sua lentezza, anche “Four Until Late” ove cantato e struttura della song sono degne del miglior Elvis. Soprattutto le vocals, al di là della piacevolezza e scorrevolezza (notevole) di questo ottimo pezzo, sono integrate alla perfezione con gli strumenti, cosa che finora non era mai avvenuta al 100%. Pirotecnico l’inizio, nonché lo sviluppo, di “Rollin’ and Tumblin’”, praticamente priva di basso ma con una batteria che tiene splendidamente un ritmo decisamente rapido e una chitarra che definire funambolica e impazzita è poco. Forse la miglior performance di Clapton nell’intera produzione , performance che precede nel tempo ma pareggia per estro quelle che avrebbe sfornato tale Jimmy Page nemmeno 2 anni dopo. Forse Rollin’ stufa un po’ a lungo andare, ma è canzone parecchio casinara, a maggior ragione alla fine dei Sixtees. Finita questa sbronza di corde sfregate all’estremo, ci troviamo dinanzi a “I’m so Glad”, che forse più di tutte le altre “sorelle” si avvicina alle strutture ritmiche moderne, che avrebbero caratterizzato tutti i massimi esponenti del rock. Abbiamo quindi strofe, ritornelli, assolo, e una certa linearità di base, praticamente quasi sconosciuta nei precedenti brani. Non a caso questa è anche tra le tracce più lunghe della produzione. Dopo 10 pezzi che nel complesso lasciano di stucco per l’ampiezza dei contesti sonori affrontati, arriviamo alla canzone più Hard, nonché la mia preferita, di Fresh Cream, “Toad”. Questa strumentale denota anch’essa i canoni che sarebbero stati i cardini del rock duro del futuro, quali gli schemi metrici già presenti in “I’m So glad”, ma vi aggiunge altri elementi hard come le sonorità graffianti. Tanto per gradire abbiamo un terrificante assolo di batteria (abbondantemente oltre i 3 minuti e mezzo) del grandioso Ginger, che dimostra di essere un musicista davvero fantastico. Finita anche quest’esaltante cavalcata dietro le pelli, arriva un ennesimo buon lento, “The Coffee Song”. Da segnalare un basso molto presente e una voce decisamente su di giri se paragonata alla media album. Chiude infine la simpatica “Wrapping Paper”, nella quale risaltano elementi musicali degli anni passati, miscelati con la classe e le tecniche della strumentazione elettronica.
Il disco è finito, e lascia spazio alle riflessioni che causeranno la sua valutazione. Allora voglio essere chiaro : se vi aspettate sonorità moderne, esplosive eccetera, non ascoltatelo nemmeno questo Fresh Cream, è tempo perso. Se invece volete capire cosa era l’hard rock nella sua forma più primitiva, gli sviluppi che ebbe eccetera, questo disco è non essenziale, di più. Se devo scomporre in parametri di valutazione l’album, dico che tecnicamente mi sento di dare una ottima valutazione a Clapton e soci, la classe non è acqua (voci a parte). A livello di songwriting il disco risulta decisamente ostico, e necessita tanti, anzi tantissimi, ascolti, in quanto i sound e gli stili usati sono una marea, e assimilarli è davvero difficile. A livello storico è un disco immane, un’icona, punto e basta. Resta solo da fare una lode ai Cream, band che forse non sarebbe nemmeno da recensire su questo sito, visto di cosa tratta il sito stesso, ma della quale è indispensabile conoscere almeno qualcosa, in modo da potercisi rendere conto di quanto si sia sviluppato, nell’arco di 40 anni, questo meraviglioso regalo che ci è stato fatto, ovvero il Rock.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
I Feel Free
N.S.U.
Sleepy Time Time
Dreaming
Sweet Wine
Spoonful
Cat’s Squirrel
Four Until Late
Rollin’ and Tumblin’
I’m so Glad
Toad
The Coffee Song
Wrapping Paper
P.s : il voto mai come qui è totalmente soggettivo. Io l’ho ottenuto facendo una media ponderata fra i quattro punti di vista menzionati prima. Quindi 90 alla tecnica, 100 all’eclettica, 100 al valore storico e 30 alla difficoltà di ascolto (aihmè elevatissima, ma se siete “studiosi” passerete ore e ore con questo lavoro nelle orecchie).