Recensione: Friend Of A Phantom
I Vola sono senz’altro una delle formazioni più interessanti all’interno del panorama metal e alternativo degli ultimi anni. Il gruppo danese/svedese in soli quattro album ha avuto un’evoluzione musicale affascinante, passando dal progressivo, intricato disco di debutto Inmazes, pieno di chitarroni djent e riff massicci ad un album come Witness del 2021, in cui la vena progressiva della band è rimasta intatta arricchendo il sound con influenze dream-pop, shoegaze e alternative rock per un sound estremamente sognante e synth-oriented, abbastanza accessibile e delicato per i fan più amanti del rock alternativo, ma allo stesso tempo anche abbastanza sofisticato, progressivo e heavy per i fan del Prog Metal. Non a caso questa è una band che ha trasceso i confini della musica progressive anche a livello di ascoltatori se pensiamo che li abbiamo scoperti scoperti grazie a una nota radio/televisione musicale italiana che qualche anno fa mandava in onda in continuazione l’ormai iconico videoclip di These Black Claws dall’album Witness.
In questo nuovo album Friend OF A Phantom la band non vira troppo direzione dal precedente lavoro, mantenendo le stesse caratteristiche sonore che resero Witness un successo, migliorando però ulteriormente la produzione, grazie ad un sound chitarristico più “groovoso” che viene fuori in maniera più caldo e d’impatto nei riff, ed ancora, un maggior utilizzo dei sintetizzatori, per un lavoro brave, da nove canzoni per appena quaranta minuti di durata che si rivela come un ascolto fruibile, appassionato ed intrigante.
Vengono senz’altro fuori in questo disco, tutte le influenze musicali apertamente dichiarate dalla band; dai Porcupine Tree a Steven Wilson, dai Mew ai Massive Attack, fino ad arrivare ad Opeth e Devin Towndsen. Ma per quanto ci riguarda ciò che rende davvero interessante questo progetto sono essenzialmente due caratteristiche: La voce del cantante/chitarrista Asger Mygind che presenta delle clean vocals davvero emozionali ed intense, per un vocalist che riesce a trasmettere un certo senso di vulnerabilità nel suo cantato ricordandomi a tratti un altro grandissimo nome come Daniel Gildenlow dei Pain Of Salvation. Asger possiede un’enunciazione delle parole davvero limpida e comprensibile (anche nelle sporadiche harsh vocals) e questo va a vantaggio soprattutto per chi non è di madrelingua inglese, rendendo immediatamente comprensibile già dall’ascolto in sé, i bellissimi testi da lui scritti, molto intimi e personali e certamente una ciliegina sulla torta per quanto riguarda questa band. L’altro aspetto è l’uso dei sintetizzatori e la varietà delle soluzioni sonore che questi riescono a ricreare. Nel suddetto disco per esempio ci sono parti cariche di synth ed elettronica che sono assolutamente “in your face” ma allo stesso tempo catchy (pensiamo all’inizio di Break My Lying Tongue), e altri che dipingono uno scenario più sulfureo ed etereo e più in linea con le atmosfere Dream-Pop di cui abbiamo parlato prima.
L’album è un perfetto equilibrio tra sperimentazione ed elementi più diretti ed è lo stesso Asger in un’intervista ad aver ammesso come tal volta, si ha la tentazione di sperimentare tanto per il gusto di farlo, spesso spingendosi troppo oltre, finendo però per sacrificare la qualità del prodotto finale. Asger stesso ha attraversato proprio quest’esperienza per la composizione del disco, rendendosi conto ad un certo punto di essersi spinto troppo oltre nello sperimentare e riuscendo ad avere la lucidità mentale di fare un passo indietro e lavorare al songwriting in funzione delle canzoni e del risultato finale e non unicamente per soddisfare il suo ego o la sua curiosità da musicista.
Il risultato è un disco equilibrato, infarcito di quei momenti più heavy e carichi di chitarre djent come la opener Cannibal che vede in sede di special guest niente popò di meno che il buon Anders Fridén degli In Flames con il suo classico scream. “A burning crow gliding, a million drones diving down” – è con questo scenario apocalittico che Asger dipinge con la sua chitarra e la sua voce le prime immagini di questo viaggio sonoro targato Vola. Meraviglioso ed emozionante il ritornello con la voce in clean, melodico e delicato, contrapponendosi alla crudezza e alla rabbia del testo “you summoned a cannibal, you summoned an underfed animal”. Davvero una dualità interessante. Ci pensa Anders con il suo growl a riportarci verso sensazioni più in linea col testo mentre l’apertura di synth in mezzo alla canzone è assolutamente meravigliosa facendoci però ben presto ripiombare in una sezioni più heavy e djent.
Ancora meglio forse, l’altro singolo del disco Break My Lying Tongue, che presenta forse gli elementi più “catchy” dell’intero platter, con quella sezione di synth ed elettronica che apre l’album che diventa quasi l’elemento portante della canzone, venendo poi ripresentato in più parti del medesimo brano. Una composizione heavy, diretta, catchy, che alla fine sfocia in una sezione davvero pesante e abrasiva con la voce in scream di Asger che ci accompagna negli ultimi secondi della canzone.
Altre parti sintetizzate belle corpose in We Will Not Disband che però come brano nel complesso ha un feel più etereo e chill. Essa presenta un altro ritornello assolutamente coinvolgente e sognante, per una canzone che vuole portare un messaggio di speranza e resilienza e quella sensazione di trovare la luce in un momento di oscurità totale -“we saw the light in this broken land, we saw the kites in the crystal bell, we crush the night with our broken hands, we will not disband” e ancora “truth be told, we found a trail across the roof in a blindfold”. Anche questo pezzo ha delle sezioni heavy belle corpose, che sembrano una costante di questo inizio album (sempre spezzate da delle aperture melodiche e sognanti che mi hanno riportato in mente a tratti l’ultimo parto dei Dark Tranquillity, Endtime Signals).
Tutto cambia però con Glass Mannequin più intima e delicata, sorretta principalmente dalla voce di Asger spesso effettata e riverberata e con un uso minimale dei sintetizzatori, questa volta senza che questi prendano il sopravvento, ma solo per ricreare quell’atmosfera quasi Dream-Pop e delicata che questo pezzo vuole trasmettere.
Bleed Out è un pezzo interessante in quanto ci riporta alle atmosfere più cupe e dal vibe distopico di un brano come la già citata These Black Claws dal precedente Witness. Anche il cantato di Asger sembra ricalcare le venature hip-hop di quella canzone, stavolta con una timbrica più sussurrata e misteriosa. Suoni elettronici minimali, sezioni che si avvicinano alla musica trip-hop, per poi condurci al solito ritornello grandioso cantato in clean (che forse non ha l’impatto di altri in questo album). Interessante in questo brano la sezione ritmica, intricata e progressiva specialmente nella seconda strofa. Molto disturbante quell’ “I am covered in blood” prima sussurrato e poi urlato dallo stesso Asger in maniera compulsiva.
Paper Wolf è un altro singolo ed un altro brano cardine del disco con quei suoi suoni elettronici dal vibe molto “quirky”, come direbbero gli anglofoni, per un altro brano dai connotati minacciosi -“you better watch out, the wolf is coming”- esclama difatti Asger nel ritornello prima che la sezione elettronica presentata all’inizio del brano ci venga riproposta in una specie di break nella canzone che ci conduce in una sezione dall’headbanging furioso, prima che nuovamente la band ci riconduca con la testa fuori dalle acque profonde in una sezione meravigliosamente melodica e grandiosa.
I Don’t Know How We Got Here si presenta come un brano intimo ma allo stesso tempo intricato specialmente nella sua sezione ritmica, con un drumming in particolare davvero stimolante. Un brano che riesce a far trapelare due caratteristiche dei Vola in maniera perfetta, ossia la natura progressiva della band e quella più intima e sognante. Molto interessante la linea di chitarra verso la fine del brano che suona molto alternative rock in stile Minutes To Midnight dei Linkin Park, per un altro brano che ci ha preso decisamente.
Hollow Kid si apre con un altro riff massiccio, per un disco che nella sua totalità appare un filo più heavy e corposo del suo predecessore Witness, ed un altro brano che presenta un immaginario cupo, ma di grande suggestione -“he will be picturing the scarecrows all night, there isn’t a shadow he hasn’t tried”- ancora una volta la sensazione di un brano che parli di depressione e di un ragazzino perso nel suo vuoto interiore. Non uno dei brani migliori del platter ma che comunque presenta degli elementi interessanti come la sezione di pianoforte sul finale della canzone e le due tonalità di voce sovrapposte, quasi a rappresentare il dibattito e i pensieri del protagonista nel suo precario stato mentale.
Tray si apre con una delle linee vocali più sentite di Asger ancora una volta costruendo delle liriche piene di metafore e simbolismi “there’s a dog in the bay left unbound, will you greet me the day I come around?” e ancora “my dark horse refrains from the day, my terrain is slipping away”. È senz’altro interessante come il mondo animale viene usato sovente dal Vola in senso metaforico; d’altronde questo è evidente non solo nelle liriche di questo disco ma anche nell’iconico video di These Black Claws di cui abbiamo già parlato, con quell’enigmatico pastore tedesco in bella mostra per tutta la durata del videoclip. L’atmosfera “dreamy” di questo brano è contagiosa e assolutamente avvolgente, ma anche qui, non mancano delle chitarre più muscolari, per un pezzo dal vibe comunque intimo, dark e spaziale.
In conclusione con questo nuovo lavoro i Vola confermano ciò che di buono avevano fatto su Witness, riproponendoci un sound che non si discosta troppo dal loro precedente platter, riuscendo però ad incorporare più sezioni heavy nelle canzoni ma allo stesso tempo facendoci immergere in quelle meravigliose atmosfere cariche di synth, sognanti e con quelle tipiche venature pop che la band riesce a far trasparire così bene nei suoi album. Le parti intricate e più progressive ci sono, i chitarroni djent anche, ma più di tutti questo Friend Of A Phantom rimane un disco intimo e personale, un viaggio sonoro emotivamente toccante, ricco e stratificato, con un’ottima produzione che fa brillare ancor di più i singoli brani. Non tutto è riuscito al massimo, e la durata dell’album avrebbe beneficiato di qualche pezzo in più, ma i Vola a questo giro continuano a regalarci l’ennesimo disco più che convincente, che oltretutto risalta al meglio tutta la loro ecletticità come musicisti. Il loro miglior album? solo il tempo lo dirà…