Recensione: Friends Of Hell
Sono certo che molti appassionati di Metal non abbiano nemmeno avuto bisogno di ascoltare un frammento di un loro pezzo per “indovinare” che i Friends Of Hell sono un gruppo dedito al Doom nella sua forma più pura e tradizionale. A suggerirlo basterebbe il moniker, che riprende fedelmente il titolo del secondo LP (datato 1982) dei Witchfinder General, band di culto della NWOBHM tra le più influenti nel definire le coordinate stilistiche lungo cui, di lì a poco, si sarebbe sviluppato il Doom Metal. E non è nemmeno la prima volta che un gruppo decide di battezzarsi con il titolo di un disco dei pionieri inglesi: era già successo nel 2013 quando l’ex Cathedral Garry “Gaz” Jennings chiamò la sua nuova creatura Death Penalty.
Come se ciò non bastasse, altro indizio – non meno rivelatore – è rappresentato dalla line up. Si tratta infatti di una formazione internazionale di recentissima costituzione (2021) che, accanto al bassista finlandese Taneli Jarva e al chitarrista greco Jondix, annovera dietro alle pelli il tatuatissimo polistrumentista cipriota Tasos “Tas” Danazoglou (Mirror, ex Electric Wizard) e al microfono niente poco di meno che Sir. Albert Witchfinder, al secolo Sami Albert Hynninen, voce dei compianti Reverend Bizarre, una delle realtà Doom più rappresentative del periodo compreso tra la fine degli anni Novanta e la prima decade dei Duemila.
Con tali premesse, non sorprende che il navigato Lee Dorrian (ex Cathedral) si sia accaparrato una potenziale perla come questa, assicurandosi l’uscita del self-titled di debutto dei Friends Of Hell per la sua etichetta Rise Above Records.
Nei suoi circa quaranta minuti il disco suona come un concentrato di Traditional Doom duro, puro e oscuro, con pezzi brevi e diretti (tutti di durata inferiore ai 5 minuti, con la sola eccezione della closer che supera di poco i 6). Il minutaggio contenuto dei brani, elemento di forte discontinuità rispetto all’esperienza di Albert Witchfinder con i Reverend Bizarre (che non di rado si imbarcavano in mastodontiche cavalcate da 20 minuti e oltre), rispecchia non solo un songwriting maturo, capace di condensare le idee e convogliarle in una proposta d’impatto, ma anche la scelta stilistica di riconnettersi alla scuola dei primi doomster di fine anni Settanta/inizio Ottanta come Pentagram, Saint Vitus e, ovviamente, Witchfinder General.
La sezione ritmica, con un drumming solido e il basso a conferire la necessaria profondità, è la salda spina dorsale su cui la chitarra macina riff deliziosamente sinistri e pochi, ma azzeccati, assoli. La voce è sicuramente il punto di forza del platter: sempre pulita, passa da registri graffianti e maligni ad altri melodici, assumendo spesso quella verve teatrale che chi ha seguito il percorso artistico del vocalist finlandese ben conosce.
Passando alla disamina dei singoli brani, è doveroso premettere che l’ascoltatore non troverà alcun orientamento alla sperimentazione, ma una band colma di personalità, che ha ben presente cosa vuole suonare, sa come farlo e non teme di palesare le proprie influenze. Alcuni pezzi sono dei midtempo, come le rocciose “Out with the Wolves” e “Belial’s Bell”, la pentagramiana “Into My Coffin” e l’Heavy sinistro di “Evil They Call Us”.
In altri episodi, invece, il ritmo rallenta decisamente, consentendo alla componente più atmosferica ed oscura del sound dei Friends Of Hell di emergere, come nell’orrorifica “Shadow of the Impaler”, nella title track, che con la teatralità dei vocalizzi di Albert Witchfinder paga pegno ai lavori dei Saint Vitus più metallici (quelli con Scott Reagers al microfono), nella vagamente epica “Gateless Gate”, nella relativamente melodica “Orion’s Beast” e nella conclusiva “Wallachia”, nel cui cantato si odono più distintamente echi dei Reverend Bizarre. La produzione conferisce al tutto un sapore autenticamente old school: approcciandosi a questo lavoro senza alcuna nozione, anche i più attenti e informati potrebbero datarlo intorno alla metà degli anni Ottanta.
Se da una parte è da salutare positivamente la tendenza sempre più frequente del Doom di ibridarsi con le suggestioni più disparate, dallo Sludge al Post Metal, dall’Alternative Rock al Noise e al Drone, fino al Folk, dall’altra fa davvero piacere scoprire come ancora ai giorni nostri vi siano interpreti come i Friends Of Hell, capaci di riconnettersi direttamente alle origini del genere, risultando tanto apparentemente anacronistici quanto dannatamente attuali. Del resto, parafrasando uno dei più celebri versi dei Saint Vitus, “I was born too late…”