Recensione: From a Dying Ember
La saga dei Falconer è uno dei racconti più affascinanti che il metallo pesante, quello del nuovo millennio, ci ha regalato. Nati dalle ceneri dei Mithotyn – attorno alle figure di Stefan Weinerhall e Karsten Larsson – i Falconer sono subito diventati uno dei punti di riferimento della scena power-folk europea. I loro primi due dischi hanno saputo portare un’autentica ventata di freschezza al movimento. Due album che, oltre a poter vantare delle trame chitarristiche molto personali, potevano sfoggiare una voce unica, distante anni luce dal classico cantante metal. Una voce calda quella di Mathias Blad, avvolgente, espressiva, tanto da renderlo il perfetto cantore del falconer sound. Già, il falconer sound… Come definirlo con poche e semplici parole? Forse come il prodotto di un menestrello medioevale che decide di cimentarsi con il power metal.
Va detto, però, che dopo un inizio sfavillantela saga dei Falconer ha perso un po’ di incisività nel proprio racconto. Il combo svedese ci ha regalato dei capitoli sicuramente ben strutturati, ma che non sono riusciti a trasmettere la stessa adrenalina ed enfasi dei primi due lavori. La storia è comunque stata avvincente, con inaspettati colpi di scena, come l’abbandono e il successivo rientro in formazione del talentuoso Mathias Blad. Episodio che ha segnato nel bene e nel male il futuro della band.
Poi, all’improvviso, nel 2014, i Nostri, come per magia, sono riusciti a recuperare quell’ispirazione e quell’istintività che aveva caratterizzato i primi due lavori, sfornando un disco come “Black Moon Rising”. Un album che, senza timore alcuno,ha saputo reggere il confronto con il glorioso passato della band. E oggi, a sei anni di distanza da quell’avvincente full length, i Nostri fanno il loro ritorno in scena con il nuovo “From a Dying Ember”. Ma non si limitano a questo, ci regalano anche un nuovo colpo di scena. Poco dopo aver annunciato la data di uscita del disco, infatti, i Falconer annunciano che questo sarà il loro ultimo lavoro: subito dopo la pubblicazione di “From a Dying Ember” la band non esisterà più.
Un annuncio che ha donato ulteriore fascino alla saga dei Falconer, una band che è stata portata avanti con passione e dedizione dal mastermind Weinerhall. Una formazione che avrebbe forse potuto incidere con maggior piglio sulla scena metal europea se solo fosse riuscita a calcare con una certa costanza i palcoscenici del Vecchio Continente. Come sappiamo, però, le decisioni del combo svedese sono state ben altre. I Nostri pongono così la parola fine alla propria parabola con “From a Dying Ember”. Weinerhall sapeva da tempo che questo sarebbe stato l’ultimo lavoro della band, l’album con cui i Falconer avrebbero calato il sipario sulla propria storia. Per questo, in fase di composizione, ha cercato di non lasciare nulla al caso, provando a creare un disco che potesse contenere tutte le anime del sound dei Falconer, per accomiatarsi dai fan in grande stile. In questo modo l’approccio più guitar oriented che aveva caratterizzato l’elettrizzante “Black Moon Rising” lascia il posto a composizioni più variegate, in cui l’animo “menestrellante” torna a essere predominante. La strumentale ‘Garnets and a Gilded Rose’ rappresenta alla perfezione quanto appena scritto, così come la successiva ‘In Regal Attire’, che dopo un inizio medievaleggiante, si tramuta in una cavalcata power da manuale. L’album scorre che è un piacere, regalando undici tracce efficaci e ben strutturate, studiate in ogni minimo dettaglio. Le composizioni sono poi valorizzate dall’ottimo lavoro di Andy LaRocque, in cabina di regia, ormai un marchio di fabbrica per i Falconer, che in tutti i loro dischi si sono sempre affidati a Mr. LaRocque. Il valore aggiunto di “From a Dying Ember” è però rappresentato dalla prestazione al microfono del fenomenale Mathias Blad che, forse, confeziona una delle sue performance più sentite. Le sue linee vocali sembrano quasi dotate di vita propria vista l’espressività e la teatralità con cui vengono interpretate dal bravissimo cantante. Basta ascoltare la ballad pianistica ‘Rejoice the Adorned’, o la successiva power-folk ‘Testify’, per rendersene conto.
Nonostante tutti questi aspetti positivi, però, l’album non lascia il segno come dovrebbe. La qualità media è elevata, ma mancano quelle killer song capaci di fare la differenza, di stamparsi in testa per non uscirne più. La sensazione che trapela dall’ascolto di “From a Dying Ember” è che Weinerhall, forse spinto dal desiderio di realizzare un lavoro che contenesse tutte le anime dei Falconer, abbia limitato l’istintività. Le composizioni si rivelano studiate in ogni dettaglio e, forse, proprio per questo, appaiono un po’ “staccate”. Ci sono belle melodie, parti dirette e altre più “menestrallanti”, ma sanno di “calcolato” e a tratti risultano prevedibili. In alcuni frangenti nemmeno l’operato del superlativo Blad, di cui vi abbiamo parlato qualche riga sopra, è sufficiente per elevare la singola traccia. Ne è un chiaro esempio ‘Fool’s Crusade’ dove la prova al microfono di Blad risulta calda ed espressiva, ma la parte strumentale, per quanto ben suonata e strutturata, appare scontata. E forse è proprio questo il limite più grande di “From a Dying Ember”: un lavoro curato e ben suonato, dalla qualità media elevata, ma a cui mancano delle vere e proprie hit. Appare come un disco studiato a tavolino e che, di conseguenza, pecca in istintività. Un pizzico di pathos in più, poi, non avrebbe guastato. Senza scomodare i primi due leggendari capitoli della band, diciamo che mancano tracce come l’inno ‘Halls and Chambers’, o come l’esplosiva e imprevedibile ‘Wasteland’, giusto per portare un paio di esempi.
Nell’annunciare lo scioglimento della band, Weinerhall ha lasciato trasparire che erano venuti meno gli stimoli. Per lui, “l’ambiente” Falconer, il comporre musica sotto quel monicker, era diventato un mondo troppo sicuro e familiare. “From a Dying Ember” è proprio figlio di queste parole e sensazioni. Un album che sa di Falconer fino al midollo, ma a cui, forse, manca un pizzico di entusiasmo e la voglia di uscire da schemi collaudati. Ecco, diciamo che essendo l’ultimo capitolo di una formazione di primissimo livello, attendere un qualcosina in più era lecito. I Nostri hanno forse deciso di andare sul sicuro e realizzare un lavoro che sapesse fare breccia nei cuori dei propri fan, per dare loro il saluto che si aspettavano. Come poter dare loro contro, per questo? Non rimane che ringraziare Weinerhall e soci per tutte le emozioni che hanno saputo regalarci nel corso dei loro vent’anni di carriera. “From a Dying Ember” non verrà forse ricordato come il loro disco migliore, ma è di sicuro un ottimo modo per congedarsi dai fan. Vedremo il futuro cosa ci regalerà. Quando un sipario viene calato, a volte, può anche essere riaperto.
Marco Donè