Recensione: From Crotch To Crown
Talvolta scorrendo la mia discografia vietata ai minori di ventuno anni, e cercando una colonna sonora adeguata che compensasse le nequizie subdole degli uomini, cliccavo con lo stesso vigore di una coltellata in pieno petto, su “Embalmed Madness” o “Deeds of Derangement”. Le mie tempie pulsavano meravigliosamente, i miei muscoli crescevano come un dolce pasquale in lievitazione, e le mie inane velleità di cantare in growl quasi si materializzavano.
Finché un giorno, i miei prodi eroi si smarrirono sull’Olandese Volante, vissero una breve Odissea, ma non temerono Polifemo, banchettarono e si ubriacarono con lui, respinsero con catacombali grugniti le soavi melodie delle sirene tentatrici, crocifiggendole poi all’albero maestro, e ritrovata la rotta e il controllo del timone, sospinti da un Eolo più tetro del solito, riassaporarono la terraferma dove i Proci se l’erano già data a gambe da un pezzo, e una Penelope emaciata, colma di cicatrici e cadaverica, li attendeva ridente.
Loro sono i Prostitute Disfigurement, e tornano alla ribalta con il violentissimo “From Crotch To Crown”. La creatura malefica di Niels Adams e Patrick Oosterveen, inossidabili aguzzini di Veldhoven, si mostra con una line-up ancora una volta ritoccata per quanto riguarda le chitarre: fuori Niels van Wijk e Danny Tunker (presenti nell’ultimo full-length “Descendants Of Depravity”, datato 2008), dentro Frank Schiphorst e Martjin Moes. Il risultato è un disco estremo, potente, deviato, in perfetto trend Prostitute Disfigurement, a consolidare l’immagine d’una band che fa del gore e dell’iconoclastia il pane quotidiano, sin dal primogenito “Embalmed Madness” del 2001.
Gli olandesi forgiati da una pluridecennale militanza nell’esercito di dispensatori letali del metallo più intransigente, sono i perfetti funzionari d’una succursale del male, svolgono la loro mansione con solerzia, senza espandere il proprio raggio d’azione, ma rimanendo fieramente tra i ranghi. Non varcano le soglie dell’obitorio, adorano immergersi tra corpi smembrati, interiora e morti grottesche, ove mannaie, seghe, martelli, bisturi, sono finissimi e amorevoli arnesi d’agognati omicidi e poetiche autopsie. Un ennesimo ossequio al dolce taglio e alla carezzevole percossa.
Il sound presenta quindi pattern tipicamente incastonati nel genere, un brutal sanguinario e tambureggiante ci macella dall’inizio alla fine senza tregua. I break down esiziali e i furenti blast di van der Plicht sono causa di maremoti, la doppia cassa tritura mente e anima, mentre il guitar-work acuminato di Schiphorst e Moes si affila sul growl granitico del mattatore Niels Adams, mettendo alle corde ogni possibile brama uditiva. Il trittico iniziale, “Only Taste For Decay”, “Crowned In Entrails”, “Battered To The Grave” è un antipasto che non si saggia a piccoli morsi, si divora con tutte le ossa, e se in “Dismember The Transgender” quasi ringrazieremo l’esistenza del groove cadenzato, la title-track “From Crotch To Crown”, ci picconerà nuovamente con il suo caustico ritornello (l’ho urlato ad ogni ascolto, e ora viene fuori spontaneamente quando mi incazzo), a ricordare a tutti che il brutal non è per smidollati o finti fruitori, e che le batoste mortali sono l’ingrediente principale d’un disco che ci sevizierà per altre cinque tracce.
Un disco ben congeniato, diretto e senza mezze misure, come l’amore e la passione dei ‘veri’ discepoli del death. In fondo, ‘l’importante è sempre quello che uno ha dentro’.
Come diceva anche Jack lo Squartatore.
Fabrizio Meo
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