Recensione: From Hell with Love
Dall’inferno con amore. La creatura di Anton Kabanen nota come “Beast in Black” avanza inarrestabile, nata nel 2015 dallo split con i “Battle Beast” dei quali il chitarrista è stato fondatore e principale songwriter. Dopo il successo del debut “Berserker” (2017), eccoli di nuovo sulle scene per Nuclear Blast con il secondo disco a poco più di un anno di distanza. La bestia assume ora la forma di un mostro furente pronto all’attacco cavalcato da una minacciosa e sensuale valchiria, nel nuovo, curatissimo e tamarrissimo artwork realizzato da Roman Ismailov. Una sola novità in lineup: il batterista Atte Palokangas (Thunderstone), sostituisce Sami Hänninen. Superconfermato il greco Yannis Papadopoulos al microfono, con i suoi falsetti ed acuti da denuncia che sono la croce e delizia di questo progetto, capaci di graffiare oltre ogni ragionevole senso della misura.
Se l’eterogeneità era uno dei punti di forza di “Berserker”, qui i ragazzi mescolano ulteriormente le carte, abbandonando parzialmente il power metal spinto del primo lavoro concedendo maggiori spazi a synth e tastieroni anni ’80, un po’ come avevamo potuto apprezzare in brani come “Crazy, Mad Insane” del precedente lavoro o nel singolone “Touch in the Night” (2015) dei Battle Beast pre-split. Sempre presenti le citazioni al manga “Berserk”, oltre a ben due cover in chiusura: “Killed by Death” dei Motörhead e “No Easy Way Out” di Robert Tepper (direttamente dall’OST di Rocky IV). “Heart of Steel” non è invece una cover – come potrebbero fraintendere i fan dei Manowar.
Il disco parte a bomba con “Cry out for a Hero”, fregiato dalla solita graffiante performance del singer greco, al quale fa seguito un bel solo del mastermind. Virata disco-elettronica per i due singoli a seguire: la titletrack è la tamarraggine sintetizzata in laboratorio e sostanziata nei falsetti e nelle tastiere che la fanno da padrona. Ciliegina sulla torta infernale, il video uscito il giorno di San Valentino che vede protagonista un barbaro palestrato da far invidia alla band di Joey Demaio, con tanto di assolo su montagna di teschi (sic!). Ancora anni ’80 per “Sweet True Lies”: anima rock ma abito fighetto, che convince nuovamente per il coraggio e la follia.
Con “Repentless” i Beast in Black si riappropriano della doppia cassa e del blast beat in un brano epico e tirato, nel mezzo del campo di battaglia. Peccato che il refrain non raggiunga mai la vetta, e che il pezzo scorra senza infliggere troppi danni al nemico. Stessa sorte per la pur buona “Die by the Blade”, basata su una linea di basso martellante e tappeto di tastiere che esplode in un ritornello corale.
Piccolo break arpeggiato con il flauto e falsetto di “Oceandeep”, ballata incastonata nel mezzo del disco, sempre a voler rimarcare la ricerca dell’eterogeneità nella proposta. Il risultato è buono, anche se un po’ scontato… forse ci sarebbe stato bene un duetto. Bene il crescendo che porta all’assolo e di nuovo prova muscolare di Papadopoulos.
Riprendono il ritmo l’arrembante “Unlimited Sin” e la successiva “True Believer”, forti di ritornelli semplici ed immediati. Ad una discreta “This is War” seguono il mid-tempo “Heart of Steel” ed il brano di chiusura “No Surrender”, che finalmente raggiungono una buona sintesi tra elemento elettronico, falsetti e ritornelloni epici ed incalzanti.
A noi di Truemetal in genere la tamarraggine invereconda piace parecchio, e non possiamo che apprezzare questa nuova, folle manifestazione dei finnici Beast in Black. “From Hell with Love” è un disco che merita sicuramente l’ascolto per passare qualche minuto di epic madness ottantiana: manca però qualcosa rispetto al debut. Per alcuni versi i pezzi synth rock sono i più azzeccati e potenti (non è un caso che siano stati premiati con dei videoclip), con dei passaggi veramente godibili che se presi con il giusto spirito non possono che divertire come bestie da pista da ballo, basti pensare alla titletrack o a “Sweet True Lies”. Latita invece l’aspetto power, comunque molto presente all’interno del lavoro ma che non sembra aver goduto della cura necessaria – fosse anche solo per i ritornelli anthemici e corali non proprio all’altezza. Nonostante alcuni passaggi diano l’impressione di “già sentito” (negli eighties, s’intende), il tutto sembra comunque funzionare a dovere, tanto che l’anacronismo finisce per diventare un valore aggiunto fortemente identitario per i Beast in Black, che sanno sguazzare, divertire e divertirsi attraverso la corrente del tempo. Assente una nuova “Blind and Frozen”, che con i suoi oltre tredici milioni di visualizzazioni sul Tubo resta il singolone della band di Kabanen e soci. Parafrasando il buon vecchio Nietzsche in mezzo ad un’improbabile pista da ballo dagli intramontabili anni ‘80: “Anche il metallaro ha il suo inferno: è il suo amore per i Beast in Black”.
Luca “Montsteen” Montini