Recensione: From Mars To Sirius

Di Stefano Burini - 7 Febbraio 2012 - 0:00
From Mars To Sirius
Band: Gojira
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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85

Quando si parla di un genere (o, ancor meglio, di un sotto-genere) musicale, non è raro associare il movimento da cui esso prende vita alla sua origine geografica; in questo modo hanno preso piede, nel corso degli anni, nomignoli come “Kraut Rock”, “Brit Pop” o, sbarcando su lidi più hard-oriented, espressioni quali “New Wave Of British Heavy Metal”, “Bay Area Thrash” e “Swedish Death”. La Francia è, nell’immaginario comune, la patria di Napoleone, delle baguette e della Tour Eiffel, tuttavia, a parte qualche caso abbastanza isolato (vedasi gli Adagio o Patrick Rondat, apprezzatissimo chitarrista ex Elegy), non c’è una vera e propria scena di fama internazionale che possa competere con quelle di altri paesi europei. Tra le eccezioni alla regola di cui si diceva poc’anzi è il caso di annoverare uno dei più interessanti, attivi e innovativi act del panorama metal odierno, i Gojira.

Nascono a Bayonne, cittadina del sud ovest della Francia nel 1996 con il nome di Godzilla, e solo dal 2001 decidono di adottare in via definitiva, causa immancabili problemi di copyright, l’originale Gojira, sempre in omaggio al colossale dinosauro risvegliato dagli esperimenti nucleari nei film horror giapponesi degli anni cinquanta. La formazione è composta sin dagli esordi dai fratelli Joe e Mario Duplantier, rispettivamente cantante/chitarrista e batterista, dal secondo chitarrista Christian Andreu e dal bassista Jean Michel Labadie, rimanendo stabile nel tempo fino ad oggi.

Gli anni di fine ‘900 rappresentano una stagione di incredibile fervore artistico per i Gojira, come testimoniano i ben quattro demo/EP (“Victim”, “Possessed”, “Saturate” e “Wisdom Comes”) autoprodotti in quel periodo, ma la ribalta sopraggiunge nel 2001 grazie ai brillanti risultati ottenuti dall’esordio sulla lunga distanza: il terrificante “Terra Incognita”, ben più di un semplice embrione del mostro che verrà alla luce di lì a breve. Il nome di questi ‘avantgarde-thrasher’ transalpini inizia a farsi largo su riviste e siti specializzati e da allora fino ad oggi, si è trattato di un percorso in continua via di affinamento della proposta e affermazione in termini di fama e di considerazione sulla scena internazionale, a partire dal successivo “The Link”, passando per l’ottimo “From Mars To Sirius” fino a “The Way Of All Flesh” e in attesa del nuovo, imminente, “L’Enfant Sauvage”. Il sound dei Gojira è secco e urticante, fortemente improntato su impatto, ritmiche arzigogolate e riff pachidermici, figlio legittimo tanto della follia dei Meshuggah e della desolazione dei Neurosis quanto dell’ermetismo sludge degli Isis e della schizofrenia industrial di Strapping Young Lad e Fear Factory. Il tutto con un quid di melodia in più in grado di donare ulteriore enfasi e drammaticità al contrasto tra la violenza fredda e inumana di queste sonorità e gli improvvisi, agognati, squarci di luce che fanno capolino nei momenti più inattesi, sotto forma di lunghi passaggi strumentali di impensabile leggiadria. Il guitar work è cruento e ossessivo, ma non vi è traccia alcuna di qualsivoglia “marciume sonoro” tipico del death primordiale di Carcass e Morbid Angel. I suoni sono molto più scabri e “robotici”. Il drumming è tentacolare e modernissimo senza mai essere invadente e la particolare voce di Joe Duplantier si rifà decisamente più all’hardcore che non al cantato gutturale di Death, Obituary e compagnia.

Nessuna traccia, altrettanto, di tendenze più o meno nuove, dal nu-metal fino al metalcore, al più ‘Whalecore’, come talvolta è capitato di leggere in rete, in omaggio alla splendida front cover di stampo surrealista di “From Mars To Sirius” e alle sue ‘Balene Fluttuanti’ e nel contempo all’elegante ed ossimorica pesantezza sonora tipica dei Gojira. Niente compromessi insomma, pura arte musical-rumoristica senza concessioni alla moda né alla nostalgia.  

“Ocean Planet” mette subito in chiaro le coordinate sonore dell’intero album: riffing spezzettato, rotolante e originalissimo; il cantato di Joe Duplantier è per la maggior parte del tempo assimilabile ad un latrato lacerante e disturbante, caratteristiche riscontrabili anche nella successiva “Backbone”, forte di una parte strumentale più varia ed articolata a mezza via tra prog metal e grindcore.
Il percussionismo forsennato del minore dei fratelli Duplantier la fa da padrone nella durissima “From The Sky”: guitar work e vocals svolgono, in modo assolutamente non semplice, l’accompagnamento di una base ritmica tortuosa e accidentata, ma ad uscire allo scoperto in maniera per la prima volta effettivamente udibile è una propensione a particolarissime armonizzazioni di chitarra che donano un sapore melodicamente alieno ad alcuni passaggi.
“Unicorn” riesce in modo strabiliante nell’intento di riportare un po’ di serenità in un opera che fino ad ora si era concentrata sul suo lato più oscuro e “industriale”: poche note, arrangiamento minimale, l’ideale per ricreare uno scenario da “quiete post apocalisse”, quasi fosse un mare deserto e pieno di relitti e sporcizia quello a cui ci troviamo di fronte come spettatori inermi. Pare di sentirne i rumori tipici in sottofondo, ma è un inganno, niente gabbiani, niente onde, tutto è immoto, finito, e restano solo le rovine di una “civiltà” tecnologizzata che ha soffocato tanto l’uomo quanto la natura. Il brano è interamente strumentale, la soggettività delle immagini che esso può evocare è indiscutibile, ma la chiave di lettura ecologista/catastrofista è certamente un tòpos all’interno delle tematiche care ai Gojira, come testimoniato dall’inquietante videoclip realizzato per “To Sirius” dallo ‘zio’ Alain Duplantier, affermato direttore della fotografia per la tv e il cinema , coinvolto nella realizzizazione di numerosi spot pubblicitari e, tra gli altri, dei lungometraggi “Killer Elite” con Robert De Niro, Clive Owen e Jason Statham e “A Bout Portant” di Fred Cavayé.
Una sottile, ma devastante armonia di contrasti è anche ciò che sta alla base di un pezzo come “Where The Dragons Dwell”, apocalittica e devastante, giocata su una riuscitissima alternanza tra istanti di estatica quiete e sfuriate di avantgarde thrash rugginoso e industri aleggiante. Tuttavia è con il quartetto seguente che incocciamo il vero cuore compositivo di “From Mars To Sirius”.
“The Heaviest Matter Of The Universe”,
tenendo fede ad un titolo più che mai esplicativo (e Strapping Young Lad inspired), è la summa dello stile dei Gojira: il riffing è semplicemente entusiasmante, il lavoro della sezione ritmica è di primissimo livello e al solito cantato “bestiale” di Duplantier si affiancano alcuni passaggi corali che accompagnano il finale del pezzo. “Flying Whales”, come da copertina, è uno dei pezzi più melodici (per gli standard dei francesi, …of course) in scaletta, di quelli che pur nella loro spigolosità lasciano intravedere quale sia il lavoro che c’è dietro ad una canzone dei Gojira, paragonabile a quello di un pittore astrattista in grado di trasformare e rielaborare la realtà che gli sta davanti in una maniera talmente personale da risultare, alla fine, quasi irriconoscibile.
“In The Wilderness” è inizialmente costruita su giri di chitarra vorticosi e ossessivi, di nuovo dalle parti delle prime tracce di “From Mars To Sirius”, ma la fuga strumentale a metà tempo rende l’idea di quanto evoluto ed eterogeneo sia il sound dei Mostri di Bayonne. Con la struggente “World To Come” Duplantier e soci toccano vette espressive assolutamente da brividi. C’è della psichedelia, ma sempre in una forma distorta e nevrotica e il ricorso a ‘vocals’ filtrate dona un tocco di surrealtà ad un brano cadenzato, ipnotico ed ispiratissimo.
“From Mars” è una breve, eppur inquietante, nenia sussurrata da Joe Duplantier in una delle rare apparizioni in voce “pulita”. Ad essa fa eco la complementare “To Sirius”, sempre pesantissima e granitica, ma nello specifico variegata da sotterranee influenze stoner. La chiusura è affidata a “Global Warming” ed è di nuovo un tripudio di Gojira sound, nervoso, con fraseggi di chitarra di stampo progressivo ed un utilizzo esasperato del tapping, mentre le consuete rabbia e disperazione lasciano spazio ad un diffuso sentore di mestizia. Gran finale.

Il successivo “The Way Of All Flesh” riuscirà nell’ardua impresa di evolversi ulteriormente, risultando meno monolitico e più vario, accentuando il lavoro di continua variazione di ritmiche e  fraseggi di chitarra e mettendo in campo una più marcata parentela con il post thrash dei Machine Head, finendo per essere, ad oggi, il vero e proprio capolavoro dei Gojira.

In definitiva sia che si parli di “Terra Incognita” e “The Link”, piuttosto che dei successivi “From Mars To Sirius” e “The Way Of All Flesh”, ciò che si può affermare con certezza è che la proposta dei transalpini è tanto ostica (a primo ascolto), quanto interessante, sfaccettata e assurdamente poetica ed intimistica, a dispetto della quantità di decibel generosamente elargiti lungo l’intera durata del singolo disco.
Non si tratta indubbiamente di musica per tutti, ma la vera grande qualità di questo ancora giovane e promettente gruppo francese è la capacità di rendere intelligibile, seppur magari non del tutto comprensibile, il grande lavoro di ricerca ritmica e melodica nascosto dietro a pezzi così incredibilmente lenti, possenti e, nel contempo, eleganti. 

Stefano Burini  

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Tracce:
01. Ocean Planet
02. Backbone
03. From The Sky
04. Unicorn
05. Where Dragons Dwell
06. The Heaviest Matter Of The Universe
07. Flying Whales
08. In The Wilderness
09. World To Come
10. From Mars
11. To Sirius
12. Global Warming  

Formazione:
Joseph “Joe” Duplantier: Voce e chitarra
Christian Andreu: Chitarra
Jean Michel Labadie : Basso
Mario Duplantier: Batteria

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