Recensione: From Oblivion To Salvation
From Oblivion To Salvation è l’album di debutto per i
piemontesi Mainline, approdati alla tedesca Dioxzion Records, che
segue a quattro anni di distanza il precedente ep Neurasthenic.
Uno stile difficilmente catalogabile quello dei Mainline, che
accorpano nelle proprie composizioni influenze moderne e graffianti come il post
thrash, il metalcore, ed echi nu metal, insieme a una componente emotiva e
malinconica, che non solo prende il sopravvento nei ritornelli e nei frequenti
break a cui i nostri ci sottopongono, ma che avvolge il tutto come fosse una
sottile foschia, donando una nota di oscurità che smorza la pesantezza della
parte prettamente metal del disco. Su tempi mediamente cadenzati, scanditi da
ritmiche compatte e quadrate, i nostri riescono di volta in volta a inserire nei
brani degli elementi di spunto che creano un interessante contrasto tra le due
anime della band, nella fattispecie mi riferisco all’uso della voce pulita di
Maurizio Lazzaroni nelle frequenti aperture melodiche, in cui i richiami a
formazioni come Tool, Deftones e A Perfect Circle vengono
subito all’orecchio.
Ci troviamo però dinnanzi a musicisti che riescono a combinare tutte le
proprie influenze senza ricalcare troppo le proprie fonti d’ispirazione,
dimostrando per tutta la durata del disco una personalità più che soddisfacente,
curando minuziosamente gli arrangiamenti, e inserendovi anche dei brevi inserti tastieristici. From Oblivion To Salvation è
comunque un disco duro, ostico, che non ha solo nei frangenti melodici i
principali motivi d’interesse, ma che vive anche (e soprattutto) di metallo
opprimente, di ritmiche serrate e assalti vocali di buona fattura. Ne sono
esempi tracce come Brilliance of Shadow, Emphatize With Your Enemy,
o la sognante Hidden Truth, in bilico tra aggressività bella e buona e
slanci di grande atmosfera. Un disco che si mantiene costantemente su questi
livelli, ma che si trascina verso la conclusione (l’indovinata coppia Keeping
My Disease/Chain) arrancando leggermente, perdendo la brillantezza delle
prime battute a causa di un songwriting eccessivamente fermo sulle stesse
soluzioni e di un minutaggio sin troppo generoso (oltre i cinquanta minuti).
Si tratta comunque di un aspetto non molto rilevante ai fini della
valutazione complessiva del lavoro, impreziosito da una produzione all’altezza
curata da Ettore Rigotti (Disarmonia Mundi, Slowmotion
Apocalypse) e da un artwork curato. Un bel debutto che fa ben sperare per il
futuro.
Stefano Risso
Tracklist: