Recensione: From Out Of The Skies
Alla fine, band come i Bulletboys sono in giro da più di trent’anni. Formatisi nel 1986 intorno alla figura di Marq Torien, che vantava militanze in Ratt e King Kobra, i Bulletboys fecero in tempo a sentire il profumo intenso dell’effimera gloria che il Sunset Strip ancora poteva garantire prima dell’avvento del grunge. In un contesto ormai standardizzato dalle major interessate solo a monetizzare il momento, il debutto della band, pubblicato nel 1988, brillava per originalità, grazie soprattutto a una scrittura più matura di quella della media dei capelloni laccati del tempo.
Questo From Out of the Skies non fa eccezione nella discografia dei californiani, garantendo una variegata raccolta di pezzi ben scritti, ben eseguiti e ben arrangiati. Il disco è stato registrato presso lo Studio 606 dei Foo Fighters, di cui sente parzialmente l’influenza, perdendo un poco in personalità. Si ascoltino in merito Whatcha Don’t e la title-track, che davvero troppo ricordano la band di Dave Grohl, quasi a rappresentare un contrappasso alla nirvanizzazione che il genere subì a inizio anni novanta.
Non mancano pezzi più originali e riusciti, come l’opener Apocalypto e il singolo D-Evil, che godono di un bel piglio e di suoni grezzi come ci si attenderebbe da gente con questo pedigree.
Molto belli il mid-tempo Hi-Fi Drive By e la ballad acustica Losing End Again, che odorano di tutta l’esperienza della band e forse rappresentano gli apici del disco. Gli Steel Panther non scrivono canzoni del genere da almeno un paio di dischi a questa parte.
Sulla stessa linea si assestano Switchblade Butterfly, altra ballad acustica di godibile atmosfera ma niente di più, e Once Upon a Time, che mostra una melodia lieve debitrice di Brian Adams senza sfigurare nel confronto, ma piuttosto innocua alle orecchie dei rocker più metallici.
Maggiormente sperimentali sono, invece, le aggressive P.R.A.B. e Sucker Punch, che però non sanno lasciare il segno, pur mostrando un buon piglio esecutivo.
Nel complesso, From Out of the Skies è un disco più che discreto, sintomatico dello stato di una band ancora in grado di regalare momenti piacevoli, anche se oramai affetti da un certo grado di prevedibilità. In questo, i Bulletboys sono in buona compagnia con altri che furono eroi sfavillanti trent’anni fa, o giù di lì.