Recensione: From the Black Ashes

Di Emanuele Calderone - 11 Maggio 2012 - 0:00
From the Black Ashes
Band: Nebrus
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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65

Nati nel 2008 in Toscana, i Nebrus si sono fatti conoscere nel panorama underground italiano grazie a “Twilight of Humanity”, demo datato 2009, che ha raccolto consensi un po’ ovunque.
La loro musica rientra a pieno titolo nel calderone del black metal più classico e intransigente; sebbene la proposta presenti svariati richiami alla scuola norvegese e ai nomi che l’hanno resa grande, risulta comunque sufficientemente originale e gradevole.

A distanza di tre anni dal precedente demo, il combo torna a calcare le scene con “From the Black Ashes”, prodotto dalla piccola casa discografica tedesca Schattenkult Produktionen.
La prima peculiarità che salta all’orecchio è la presenza di una donna dietro il microfono; trattasi di Noctuaria, già in forza a realtà quali i doomster I sentieri di Staglieno e agli Urticant. La giovane sfodera uno scream abrasivo e roco che caratterizza da sempre la musica dei Nebrus.
Già da un primo ascolto si può apprezzare la cura riservata agli arrangiamenti, spesso intriganti e dotati di una spiccata personalità. Le chitarre di Lanius ed Epidemico disegnano un riffing malato e serrato, che non vi lascerà il tempo per respirare. Il basso, come di rado accade, si ritaglia un posto di tutto rispetto e conferisce corposità e potenza a ciascuno dei sei brani qui contenuti.
La batteria di Mortifero scandisce tempi con una precisione chirurgica e pesta sempre forte. Il batterista sfodera una prestazione davvero degna di nota: il suo lavoro, tecnicamente ineccepibile, è infatti piuttosto vario e dona dinamicità alle composizioni.
I sintetizzatori, suonati per l’occasione da Noctuaria, si limitano a definire in maniera ancor più marcata le atmosfere sinistre e soffocanti che caratterizzano le canzoni.

Ascoltando con attenzione l’opera si notano, come già detto, diversi richiami alla scena black nord europea, che vanno dal Burzum più atmosferico ai Darkthrone più grezzi. L’insieme funziona piuttosto bene e, a tal proposito, alcuni brani sono esemplificativi: basterebbe, ad esempio, concentrarsi sull’opener “Apocalypse”, violenta e nera come la pece, piuttosto che sulla sulfurea “Chains”, nella quale la cantante raggiunge vette espressive davvero notevoli. Niente male anche la successiva “Damned” che, per quanto non inventi nulla, sprigiona un feeling invidiabile. Il brano è diretto come un pugno nello stomaco: il riffing, sempre piuttosto lineare, è sostenuto da una sezione ritmica impetuosa sulla quale si adagia la voce disperata della singer.
Più si va avanti con gli ascolti però, più si nota che la tracklist tende a risultare eccessivamente omogenea e un poco piatta: certi episodi si somigliano fin troppo (fate attenzione alle introduzioni di “Apocalypse” ed “End”, praticamente identiche), il che pregiudica non poco la longevità del prodotto.
Le voci pulite, che di tanto in tanto fanno capolino, presentano ampi margini di miglioramento. La massese è oltremodo sgraziata e la sua voce pare strozzata e non supportata da un’adeguata tecnica.

Le liriche sono forse la parte meno interessante: i deliri anticristiani sfiorano talvolta il limite del grottesco. A tal proposito, trovo esemplificativo il testo di “Chaosong”, anacronistico oltre ogni aspettativa:
Villages are set on fire children were crucified at fences
women raped dismembered men buried alive while gasping
Is this the perfect order? Is this the perfect order? Is this the perfect order?
The divine hierarchy rigid and pitiful moral laws are falling at the end

Cose del genere, che avrebbero fatto scalpore ad inizio anni ’90, oggi non solo non spaventano nessuno ma, soprattutto, non offrono alcuno spunto di riflessione.
Anche la grafica del booklet non convince del tutto: la copertina appare “raffazzonata” e poco professionale. I colori e i disegni della copertina non appagano la vista e, per di più, nel libretto si trovano solo i testi -per altro quasi illeggibili- e poco altro.

Un lavoro del genere, fatto di passione e dedizione, difficilmente non farà breccia nei cuori dei molti blackster che ancora oggi ricercano la magia dei primi anni 90. Certo, ci sono ancora molti angoli da smussare, però la strada intrapresa potrebbe essere quella giusta. Aggiustando un po’ il tiro e liberandosi definitivamente da tutti quei cliché demodé che riemergono qua e là, siamo certi che i Nostri possano competere a testa alta con le migliori realtà black metal mondiale.

Emanuele Calderone

Tracklist:
01- Apocalypse
02- Chaosong
03- Chains
04- Damned
05- Falling
06- End
07- Banquet of Oblivion (Bonus)

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