Recensione: Frontal
È banale dire che al giorno d’oggi, anche per una band metal, è molto importante curare la propria presenza digitale, soprattutto se si è agli esordi.
Secondo una scuola di pensiero che va per la maggiore, è altresì importante indicare chiaramente i propri riferimenti musicali, da un parte per orientare l’ascoltatore verso le coordinate stilistiche della band, dall’altra per sfruttare la scia positiva che una derivazione da certi nomi altisonanti può garantire.
Da questo punto di vista i qui presentati Turbulence, in termini di comunicazione, non si sono risparmiati i riferimenti ai paladini Dream Theater (bio dei musicisti, cover nel sito, ecc.) facendo aggrottare un sopracciglio a chi, essendo alla ricerca di qualcosa di nuovo e non avendoli ancora ascoltati, teme l’ennesimo “sounds-like” dei celeberrimi newyorkesi.
La prima grande originalità che è possibile cogliere è data dalla loro terra d’origine, il Libano, regione non certo rinomata per essere fucina di gruppi prog metal, ma la visione e il respiro internazionale della musica dei Turbulence è evidente sin dalle prime note.
La band è stata fondata nel 2013 da Alain Ibrahim (chitarra) e Mood Yassin (tastiera), completata poi nella formazione con Omar El Hage ai microfoni, Sayed Gereige alla batteria e Anthony Atwe al basso. Accasati in Frontiers, presentano al mondo il loro nuovo lavoro “Frontal“.
Partito l’ascolto dell’album, chi temeva l’ennesimo clone di Petrucci e soci tirerà un sospiro di sollievo. Intendiamoci però: i Dream Theater restano chiaramente uno dei riferimenti principali, ma qui possiamo ritrovare diverse influenze in ambito (prog) metal miscelate con buona maestria fra loro.
L’opener “Inside The Gage” è già uno dei pezzi forti dell’album nonché biglietto da visita completo (visto anche l’alto minutaggio, caratteristica di molti brani) del repertorio della band: grande impatto sonoro, ritmiche complesse, tratti serrati alternati ad altri più enfatici scuola Symphony X, soli al fulmicotone di chitarra e tastiera, il tutto preservando una certa orecchiabilità.
“Madness Unforeseen” si apre con le tastiere cibernetiche di Yassin a scatenare un riffing roccioso ed acido, disinnescato poi dal refrain molto aperto e melodico. La voce di El Hage, un po’ in tutto il lavoro, sembra non esprimersi alla stessa intensità del resto della band nelle sezioni più sommesse e recitate, ma si riprende bene il suo ruolo quando i giri aumentano e la coralità cresce. Il quasi-interludio “Dreamless” sorprende mostrando una componente più intima prima, sinfonica e magniloquente poi, anticipando “Ignite”, uno dei singoli dell’album.
Qui basso e chitarra si addensano bellicosi, le ritmiche intricate trovano respiro solo nel solare ritornello e nel malinconico intermezzo, chiuso da uno dei migliori soli di Ibrahim. Dal punto di vista squisitamente compositivo, il brano sembrerebbe vicino alla chiusura, dato il perfetto equilibrio fin qui raggiunto nel suo sviluppo: non è così,
perché la band aggiunge altri tre minuti scarsi di ottima, ma un po’ avulsa dal resto, esecuzione strumentale che non accresce di tanto il valore del pezzo, che resta comunque uno dei migliori del lotto.
“A Place I Go To Hide” non rivoluziona le caratteristiche del songwriting fin qui espresso lungo l’album, ma tiene vivo l’ascolto con il diverso incedere, i suoi cambi di tono, le sue ritmiche tamburellanti. Altro bel brano.
La successiva “Crowbar Case” è probabilmente il pezzo “di troppo”, con l’aggravante di un minutaggio importante, mentre l’ottima “Faceless Man” ci consegna definitivamente una consapevolezza: i Turbulence sanno aggiungere pathos ed emozione ai brani, componenti la cui ricerca viene sacrificata troppo spesso in nome di tecnica ed impatto sonoro.
La chiusura è affidata a “Perpetuity”, perfetta sintesi del resto del lavoro e che, come tale, non aggiunge molto a quanto ascoltato sinora.
In conclusione, al netto di alcuni errori di gioventù e una certa prolissità diffusa, questo “Frontal” è un ottimo album e un modo notevole per i Turbulence di presentarsi a livello internazionale.
L’impressione è che la band abbia le carte in regola per evolvere e crescere in personalità: probabilmente siamo solo all’inizio di un gran bel viaggio sonoro.