Recensione: Frostbite
“Frostbite” segna l’esordio discografico, dopo un EP pubblicato l’anno scorso, della band tedesca King Fear. Chi stesse già gioendo pensando di trovarsi tra le mani il primo nato di una nuova band di giovani teutonici, però, potrebbe rimanere un po’ deluso se scorresse la line-up. Al microfono, infatti, troviamo Nachtgarm, già vocalist dei Dark Funeral. Tanto meglio, potrebbe obiettare qualcuno, musicisti famosi son sinonimo di qualità. Al che bisognerebbe rispondere che, più che altro, non son necessariamente sinonimo di originalità.
“Frostbite”, infatti, a partire dal titolo (per passare alla copertina e a tutta la grafica del libretto), trasuda black-metal da tutti i pori. E black-metal è esattamente ciò che si riceve, dritto per dritto nelle orecchie, appena si inserisce il CD nello stereo e si schiaccia il tasto play.
Il problema è che tutto inizia e finisce lì.
Certo, si tratta di musica orecchiabile, di qualità, con un songwriting e arrangiamenti che denotano una certa esperienza e maturità. D’altra parte non stiamo parlando di ragazzini alle prime armi che da un giorno all’altro han deciso di mettere insieme un gruppo black. D’altro canto qualche elemento personale i King Fear sembrano anche aver fatto lo sforzo di volercelo mettere. Tutto l’album, infatti, ha riminiscenze rock (pur senza arrivare a quello che è ormai definito black’n roll) nelle linee melodiche e nelle ritmiche che riescono a renderlo un po’ meno anonimo e farlo emergere almeno in linea di galleggiamento tra tutte le uscite, uguali tra loro, che ormai annegano il mercato.
Quello che dobbiamo chiederci, però, è se tutto ciò è sufficiente.
Può bastare il nome di uno o più dei componenti del gruppo? Può bastare una qualità e una orecchiabilità, tutto sommato, nella media dei dischi del genere? Può bastare qualche elemento se non di originalità, quantomeno di vaga personalità?
Il giudizio finale, ovviamente, non può che essere del lettore e del possibile acquirente. Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, questo è ciò che offre il mercato oggi. La qualità media non manca, né a questo né a tanti altri album, merito di musicisti sempre più preparati tecnicamente e bravi negli arrangiamenti, non fosse che per l’esperienza alle spalle, oltre che a produzioni di alto e altissimo livello.
Al contempo, però, ci sembra che sempre più stia venendo a mancare un tassello fondamentale, quella che potremmo definire “l’anima” della musica. Quella caratteristica che riusciva a rendere emozionante anche il CD registrato da quattro ragazzini ignoranti di scale e accordi nella cantina di casa.
L’esordio discografico dei King Fear è (ovviamente, potremmo dire) un disco di qualità. Composto, arrangiato, suonato e prodotto in maniera ineccepibile. Black metal dal sapore più classico, con giusto una spruzzata di retrogusto rock per differenziarsi un po’ dalla massa. I fedelissimi del genere saranno felicissimi di farlo loro. Noi, invece, rimaniamo un po’ perplessi e, anche, un po’ delusi di fronte all’ennesima uscita che sembra dire sempre le stesse cose, invece di qualcosa di nuovo.
Alex “Engash-Krul” Calvi
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