Recensione: Frozen Land
Gli anni novanta…Il boom del power metal…Certi ricordi sono adatti solo ai non deboli di cuore tanto forte può essere l’impatto emotivo e nostalgico a cui si può andare incontro.
Chiudendo gli occhi per un attimo si ritorna indietro nel tempo, alla metà dell’ultimo decennio del 1900 dove, se da una parte c’era l’involuzione di stile in preda al grunge, dall’altra impazzavano le chitarre affilate quanto morbide e barocche, le voci acute su linee melodiche memorizzabili in un nanosecondo e la doppia cassa sparata tipo Concorde Air France.
E mentre il grunge fu una bolla nata ed esplosa nel brevissimo, il power, seppur con fatica, ha continuato negli anni a rinnovarsi e rivalutarsi per poi ridimensionarsi fino ad arrivare a diventare un genere di nicchia, abbandonando definitivamente i fasti modaioli del tempo che fu.
Detto ciò è pure palese dire che, alle porte del 2020, difficilmente una nuova band esordisca sul mercato proponendo un canonico power vecchia scuola che, per intenderci, fa riferimento ai mostri sacri della scuola nord europea come Stratovarius (quelli sino a Elements pt. 1, prima che diventassero la pessima copia di loro stessi), oppure Helloween, Hammerfall, Edguy o ancora Heaven’s Gate e altri mille.
Tuttavia nel prendere in mano questo disco dal moniker che più banale non si può e una copertina confondibile con altri 2580 dischi, le aspettative erano più vicine al -200 che allo 0. Ma mai pensiero fu più sbagliato ed affrettato.
Dicembre 2018 Massacre Record segna l’esordio ufficiale di questi cinque ragazzi con le idee ben chiare e nel modo che migliore non poteva essere.
Finlandia appunto, terra natia di quell’altro combo ben noto a chi come noi a metà anni novanta vestiva jeans elasticizzati e camicioni bianchi con eleganza barocca d’altri tempi e faceva pompare negli stereo hit da favola come Paradise, Legion, Destiny, Father Time e chi più ne ha più ne metta, e sono appunto loro il fulcro di questa neonata band, gli Stratovarius degli anni d’oro che, volendo o nolendo han fatto la storia del power metal melodico di matrice scandinava.
L’omonimo debutto dei Frozen Land è uno scrigno con dentro un tesoro che va aperto e scoperto dopo averlo ripulito attentamente dalla neve che vi si è depositata sopra per via della tempesta. Aperto il lucchetto veniamo abbagliati subito dalla luce di Loser’s Game che ci fa subito capire cosa suonano questi vichinghi.
Nessuna intro ne orpelli o filastrocche; riff tagliente e doppia cassa ad elicottero come piace a noi con stacco pre strofa degno dei migliori Strato dell’epoca Episode/Visions per dare strada a un ritornello che, senza girarci attorno, lo si inizia a cantare dopo il primo ascolto mentre al secondo hai già l’armatura addosso e stai andando a tagliare teste a tutti coloro che non ascoltano true metal.
Con la seguente Delusions Of Grandeur si piomba nei ’90 in maniera prepotente, tastieroni e linee vocali da paura con un registro vocale del singer italianissimo Tony Meloni sempre su tonalità che spaziano tra l’alto e l’altissimo e una dedizione alle melodie e l’impatto davvero notevole senza tuttavia mai cadere nel sempliciotto o nel banale.
Il capolavoro è dietro l’angolo, The Fall unisce quel riffing tipico del migliore Timo Tolkki che incontra un Malmsteen più riflessivo e sedato facendoci tornare in mente quel capolavoro che fu Fourth Dimension, ed è proprio lo stesso Meloni che grazie a una linea vocale di rara bellezza e ispirazione crea uno dei più bei pezzi power old school europeo come non se ne sentivano da anni.
Nei pensieri a questo punto aleggiava l’ipotesi che, come la stra grande parte di dischi del genere usciti negli ultimi dieci anni, riservavano all’inizio le cartucce più esplosive per poi lasciare che la tracklist scorresse con più difficolta alternando vari filler a qualche pezzo più riuscito, ma qui sta il vero punto forte di Frozen Land.
Dieci dannate tracce di power metal della vecchia scuola, nostalgico e ruffiano e si può dire tutto tranne che sia una mossa commerciale: mai ascolteremo queste canzoni in un qualsiasi chioschetto al mare in quanto si congelerebbe pure una spiaggia caraibica in pieno luglio tanta è la freddezza che sprigiona questa band. Non c’è un riff o un ritornello sbagliato.
Da giorni ascoltiamo a ripetizione il disco e non c’è una minima virgola fuori posto; certamente è tutto un qualcosa di già sentito, ma l’ultimo disco sulla falsa riga di questo che abbiamo ascoltato forse, a essere buoni, risale al 2002, pertanto la bravura di questi ragazzi è stata produrre un disco si derivativo, senza inventare nulla di nuovo, ma suonandolo in maniera impeccabile, naturale, fresca e con un ispirazione davvero invidiabile.
La tracklist prosegue alternando mid tempos marziali e guerrafondai come Underworld a sfuriate dove il metronomo viene letteralmente esploso e la doppia cassa viene lanciata sulla pista del Nurburgring a tutta velocità come The Rising o la stessa Mask Of The Youth, passando per momenti che strizzano l’occhio a soluzioni con quel retrogusto folk classico nordico che mai può mancare come in Unsung Heroes ma senza risultare mai invadente.
Immancabili in chiusura la bella ballad I Would e una cover del gruppo electro svedese E-Type rifatta in chiave power, entrambe piacevoli e che si lasciano ascoltare con piacere in conclusione di un lavoro che vi farà sognare ad occhi aperti e catapultarvi nel bel mezzo di foreste innevate con elfi, gnomi e magari qualche bella fatina che vi fa l’occhiolino e da li starà a voi mettervi in mostra a colpi di spada.
In definitiva il primo album dei Frozen Land è un debutto da libidine con i fiocchi per vari motivi: al giorno d’oggi scrivere un lavoro su un genere che è stato fortemente inflazionato nella fine degli anni novanta, pertanto concettualizzato in un ben definito arco temporale, è molto difficile, lo è ancora di più crearlo con tutta questa personalità e freschezza compositiva. La produzione d’altro canto è potente e diretta ma non con i riflessi modernisti oggi comuni quasi a tutti, riportandoci anche in questo caso indietro nel tempo con suoni tosti, taglienti, glaciali e mai ultracompressi come si usa (purtroppo) oggi.
I Frozen Land sono un gruppo onesto che bada alla musica, in barba (quella dei vichinghi) alle mode, senza l’utilizzo di maschere, carri armati, o altre trovate che tanto sono di moda oggi ma son più idonee a parate carnevalesche o da Circo Moira Orfei che al metal.