Recensione: Funeral Hymns
Nuovo album per i Tharsher Bloodletter di Chicago: ‘Funeral Hymns’ è il suo nome, uscito prima il 25 settembre 2020 e poi riproposto, da Petrichor Records, dal 22 gennaio 2021.
Non perdiamoci in chiacchiere: il lavoro, nel suo complesso, non è male. Si tratta di un Thrash basilare, deflagrante e coinvolgente, che vede una buona armonizzazione tra ritmi di un tempo ed andature più moderne, con più di un’incursione nel mondo nero del Death Metal.
Il tiro degli undici brani che compongono il platter è sostenuto e senza pause e, per questo, produce una buona scarica adrenalinica. E’ roba da mosh-pit, da ascoltare non standoci troppo a pensare, senza fare troppi paragoni e lasciandosi travolgere da un vortice sonoro rovente e compatto che ci fa piombare nell’oscurità.
Le linee melodiche portanti, date da un lavoro di chitarra ricco e protagonista, sono violente e taglienti e costituiscono un telaio robusto per strofe e refrain che si susseguono con prepotenza e malvagità.
Il carattere aggressivo delle furenti ed esplosive andature è esaltato da inserti furiosi di blast beat e repentini cambi di tempo. Non ci sono pause, la voce caustica si alterna con assoli abrasivi senza soluzione di continuità; tutto e veloce, come una corsa a perdifiato senza meta, e sostenuto da una ritmica tecnica e precisa, come un chirurgo che sta usando il bisturi.
Dentro ‘Funeral Hymns’ c’è parecchio e, come si è già detto all’inizio, non è male. Però … manca qualcosa.
Prima di tutto c’è poca varietà: l’album non è assolutamente piatto e non annoia, però, quando si è verso la fine, si ha un po’ la sensazione del ‘questa l’ho appena sentita’, percezione ancor di più amplificata dal fatto che mancano veri elementi di spicco.
La maggior parte delle tracce termina improvvisamente, come se una parte dello spartito fosse stata tralasciata perché il lavoro doveva essere chiuso in fretta e furia, come se fosse finito il tempo a disposizione (non so se è andata così, ma è quello che mi ‘arriva’).
A parte questo, pezzi come ‘Absolution Denied’, ‘The Grim’, ‘Death Mask’ e ‘Guillotine’ lasciano il segno e si ascoltano più che volentieri.
Particolare menzione per la conclusiva ‘I Am The End’, l’unica nella quale i Bloodletter si abbandonano a qualche secondo di nostalgia e tristezza, in mezzo alla solita furia, lasciando intendere che le loro potenzialità vanno oltre a quelle espresse finora.
In conclusione, anche se bisogna affinare qualcosa, il giudizio è più che positivo ed i Bloodletter sono una band senz’altro da tenere d’occhio. Li aspettiamo dietro l’angolo sapendo che non ci deluderanno.