Recensione: Funeral Mass
Eternity: Funeral Mass. Ricorda qualcosa? Già. Interessante come una band che si chiami Eternity abbia voluto sfornare un album che porta lo stesso titolo dell’album dei Tears of Eternity. La confusione su internet infatti dilaga, una di quelle confusioni che mandano in tilt i motori di ricerca.
Tuttavia, le differenze tra le due band sono sostanziali. Attivi fin dal 1994, e autori di una serie sorprendente di split e demo, come si conviene a una band di “fuckin’ black metal” come si deve, i teutonici Eternity sembrano aver risolto i problemi di line-up che li affliggono fin dall’alba dei tempi sfornando un secondo full-length che promette, fin dai primi cenni sul loro myspace, una sferzata di morte e distruzione direttamente dalle viscere più intransigenti del metal più nero.
Ebbene, per una volta le promesse sono state decisamente mantenute: Funeral Mass è un sommario di tutto ciò che di meglio si può chiedere al black metal, dalla A alla Z. I richiami alla vecchia scuola norvegese ci sono tutti, e in grande spolvero: le melodie (e le chitarre) dei Darkthrone di Transilvanian Hunger ruggiscono spietate, le atmosfere dei Satyricon sono palpabili, il grandeur epico, a suo modo chiaramente, degli Immortal è vivido e la velocità dei Mayhem risuona tra una lunga traccia e l’altra.
In particolare si nota la passione del gruppo proprio per la band di Nocturno Culto e soci, dalla quale è ereditata l’ossessiva ripetizione dei riff e un certo gusto musicale che, in particolare in “Reign of Tortured Souls“, strizza l’occhio persino alle atmosfere quasi artiche degli Storm. In buona sostanza, questo Funeral Mass è un disco disarmante. Disarmante per la sua bellezza: i brani sono compatti, omogenei, ben distinguibili e suonati con grande capacità. Non sono ragazzini alle prime armi, non sono una band che ha deciso in quattro e quattr’otto di cavalcare l’onda del black metal perché “così fanno tutti” e perché fa grezzo essere immortalati nel libretto in quelle pose plasticissime rese ormai celebri da Abbath e Demonaz. Tredici anni di carriera si fanno sentire, e la lezione del black metal è stata assimilata e messa a frutto.
Disarmante anche però per la sua debolezza. Detta in maniera brutale, Funeral Mass è un disco inutile. Un’ottima copia di originali che vanno ormai per i venti anni d’età. Non si sente nulla che non sia già stato sentito, suonato, trito e possibilmente anche ritrito, specie dalla scuola germanica che negli ultimi anni ha sfornato tonnellate di dischi che si prostrano dinnanzi alla old school norvegese.
La domanda è quindi sempre la stessa: che bisogno c’è di una copia quando gli originali sono ancora a portata di mano? Difficile dirlo. Il Black Metal è un genere dalle caratteristiche ben definite, che non ha necessariamente bisogno di innovazioni per svecchiarsi, e questo i norvegesi l’hanno capito bene molti anni orsono. I germanici evidentemente sono ancora in laboratorio per tentare di capire, tramite continue riproduzioni, quali sono i reali segreti del black metal originale, per poi dipartire da quel punto e liberarsi “oltre”, in quel macrocosmo di aberrazioni dove ora si crogiolano i vecchi maestri del genere.
Chi ha fame continua di vecchio troverà in Funeral Mass un disco da cento e lode; chi cerca un po’ d’aria nuova, qualche spunto interessante, o qualche nuovo talento resterà a bocca asciutta, fermo restando che una band di enormi potenzialità come questa non potrà rimanere bloccata nel fango del già sentito ancora a lungo.
TRACKLIST:
01. Funeral Mass
02. The One Within All
03. Horncrowned Emperor
04. One Way Hell
05. Reign Of Tortured Souls
06. Suicidal Ritual
07. In Dimensions Of Pale Thorns