Recensione: Funeral Voyeur
È cupa, la periferia musicale inglese: cupa come Bradford, Inghilterra, ventre oscuro da cui sono nati i Lazarus Blackstar. Normalmente la gente immagina il Regno Unito idealizzandolo, un po’ come si fa con la Scandinavia, con un misto di fotogrammi mentali tra Piccadilly Circus e le brughiere della Cornovaglia, ma la verità è ovviamente fatta anche e soprattutto dai suburbi industriali, dai capannoni abbandonati, dal carbone, dal duro lavoro tra i macchinari.
Da questa concreta e soffocante realtà sorge un gruppo che si nutre di sludge, di doom Cathedraliano e di hardcore in pari proporzioni, urlando la propria rabbia in faccia all’ascoltatore con una cadenza ossessiva, rinunciando alla velocità come mezzo d’aggressione sonora e sostituendola con riff pari a martelli che si abbattono, inesorabilmente, di fronte ai loro amplificatori. Funeral Voyeur è un album che si nutre di ossessioni e che utilizza l’inevitabile scuola Neurosis/Isis per esprimerle, ma ne cambia sostanzialmente l’approccio, verso soluzioni meno sperimentali e più sinceramente brutali: l’impatto è costante, senza l’andamento ondulato della musica dei due mostri succitati, e diventa quasi insostenibile, a volte, come l’urlo perenne di Mik Hell.
Il disco, però, è innegabilmente bello. Si consideri questo termine per quello che è e che dovrebbe essere, cioè il motivo per cui siamo qui a scrivere recensioni: scoprire album di qualità, che piace riascoltare, magari non immediati ma che che si scavano una nicchia nell’anima e vi restano rintanati, crescendo lentamente. Questo è Funeral Voyeur, insospettabilmente personale (ferme restando le basi citate prima) e avvincente, con il suo uso di voci filtrate, campionate, di urla lontane, di riff che avrebbero fatto la felicità dei penultimi Entombed e di un’atmosfera semplicemente plumbea. Non si tratta, ovviamente, di musica facile, tutt’altro: e proprio per questo si fa apprezzare sulla lunga distanza, mostrando come difetto, paradossalmente, solo la sua “fangosità”, che lo rende di difficile assimilazione soprattutto per i neofiti del genere.
Ma se l’avanguardia musicale ha dei confini, anche i Lazarus Blackstar, nel loro piccolo, contribuiscono a tracciarli: con un album orgoglioso ma non presuntuoso, sincero e studiato, da apprezzare anche se non lo vedrete su nessuna copertina importante.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Funeral Voyeur 06:31
2. I’m Not Paranoid (I Know That They Hate Me) 06:55
3. Make Believe Master 04:59
4. Revelations III: Conclusion (The Dead Now Walk The Earth) 04:28
5. The Day The Circus Came 05:26 [sample]
6. Loneliness 07:08
7. Final Restraining Order 07:06