Recensione: Fungus
I Fungus sono un quintetto di Genova giunto con The face of evil al terzo disco che, come si sa, è sempre il disco della conferma. Trovandoli nel rooster della Black Widow sarà chiaro a tutti che i nostri sono dediti al prog, parimenti sarà chiaro che il prog in questione è tale nell’accezione più filologica e meno metafisica del termine. Vale a dire che, se negli anni ’70 il prog era ricerca di nuove sonorità, i nostri invece negli anni 70 avrebbero preferito viverci.
Quello che aspetta l’ascoltatore infatti è un viaggio di circa un’ora tra la psichedelia, il proto hard rock e il progressive. La faccia del diavolo è dipinta sulle tinte del Re cremisi e della Vedova nera e si snoda lungo dieci episodi che, a dispetto di una derivatività manifesta e probabilmente sbandierata con orgoglio, lascia trasparire un talento compositivo degno di nota. I dieci episodi infatti si mantengono vari, le influenze sono calibrate sapientemente in modo da ottenere risultati molto diversi l’un dall’altro. Soprattutto poi, il songwriting è sì efficace da cogliere l’ascoltatore di sorpresa sin dal primo ascolto.
La opener The face of evil si apre avvolgente e tranquilla, sorretta da un meraviglioso apparato di tastiere. Si tratta di un’ottima suite, che prende quota col passare dei minuti, con un costante aumento di groove e d’acidità, e finisce per trasformarsi in una jam hard rock. Molto probabilmente il miglior pezzo dell’album, sebbene non cali in tavola tutte le carte a disposizione dei genovesi. Subito dopo infatti l’acustica Gentle season propone una intrigante mistura di Black Widow e Pink Floyd, mentre la brevilinea ed incalzante The great deceit, fa venire in mente gli Spiritual front (almeno al sottoscritto, che non sa spiegarsi perché).
Rain è un altro pezzo da applausi, sebbene alle volte tenda un po’ a perdersi in meandri troppo arzigogolati, una cavalcata acida che mette in luce l’indiscutibile bravura di Alejandro J. Blisset alla chittarra, uno dei fattori determinanti per la riuscita di questo disco. In tema di Trip acidi, Share your suicide part III è sicuramente la composizione più maligna e sinistra del lotto, dove le chitarre si fan da parte e salgono in cattedra tastiere, moog, mellotron e pure un theremin. Angel with no pain invece ci riconduce ad un hard rock teso e violento, qualcosa di molto prossimo ai Bigelf visti il mese scorso. E un po’ viene da chiedersi che cosa potrebbero fare i Fungus se venissero anche loro dalla California e fossero sotto contratto con la Inside out. Perché i nostri sono dotati di ottima tecnica e ottima capacità compositiva, come confermato anche dalla conclusiva The sun, suite specchio della opener per struttura e varietà. L’unica cosa che manca a questo gruppo è la voglia di rischiare, e dunque di rendere personale la propria proposta.
Ci troviamo in sostanza di fronte ad un disco caldo, suonato con bravura e soprattutto passione. Un disco che dimostra come guardare al futuro non sia l’unico modo di fare buona musica. Trattandosi di una proposta, come detto in apertura, filologica e quindi non destinata a sconvolgervi la vita, il consiglio è quello di recuperare la title track o The sun su Soundcloud e dare un ascolto. Se quello che sentirete sarà di vostro gradimento, coi Fungus andate sul sicuro.
Tiziano Vlkodlak Marasco
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