Recensione: Fury And Flames

Di Alberto Fittarelli - 23 Febbraio 2008 - 0:00
Fury And Flames
Band: Hate Eternal
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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72

Poco tempo prima di scrivere questa recensione ho usato proprio gli Hate
Eternal
come metro di paragone per un’altra recensione, quella dei Braindrill,
dove la tecnica fine a se stessa la faceva da padrona, e additavo la band di
Erik Rutan come esempio di chi sa unire capacità musicale e composizione di
ottimi pezzi. Diciamo che, anche senza essere smentito, ho parlato un po’ troppo
in fretta.

Mi rendo conto che un inizio del genere possa scoraggiare o irritare chi,
prima ancora di ascoltare il disco o saperne anche solo il titolo, già era
sicuro di un capolavoro: ma l’onestà mi impedisce di considerare Fury And
Flames
all’altezza del suo predecessore, uno dei migliori album brutal
death usciti negli ultimi anni. Sono passati pochi anni, ma la band è stata
rivoluzionata, sia materialmente che spiritualmente: tutto, come sempre, ruota
ancora intorno al mastermind Rutan, ma l’abbandono sia di Derek Roddy che di
Randy Piro ha effettivamente lasciato il nostro Erik in brache di tela, almeno
per un breve periodo. Peggio ancora, la morte del vecchio amico ed ex-compagno
di band Jared Anderson lo ha abbattuto moralmente, tanto che, per sua stessa
ammissione, mai è stato così vicino a mollare tutto.

Si è però ripreso, ha messo insieme un gruppo di musicisti agguerriti e
sicuramente capaci, ha sfruttato il contratto Metal Blade e le sue risorse e ha
pubblicato il quarto capitolo di una delle band più immerse nell’ambiente
brutal attualmente esistenti. Ma, appunto, non è riuscito a riparare tutti i
danni.

Iniziamo col dire che il songwriting, vero e proprio fulcro di ogni giudizio
musicale che si rispetti, aveva avuto con I,
Monarch
un picco difficilmente imitabile: quell’album risultava come
perfettamente organico, godibile, limato sotto tutti gli aspetti, e riusciva a
incorporare influenze tribali capaci di dare più sapore al tutto. In una
parola, un disco affascinante. Fury And Flames si appanna invece un po’: lo fa
per gran parte nella prima metà della sua tracklist, con canzoni che, dopo
ascolti e riascolti, non rilasciano nulla se non l’indubbia capacità tecnica di
chi le ha eseguite, e a parte qualche (bellissimo) assolo, a onor del vero poco
resta in mente di Thus Salvation o Proclamation Of The Damned, per
citarne solo due.

I danni di cui si parlava sono soprattutto i vuoti che si sono venuti a
creare nella personalità del gruppo: Rutan è solidamente al comando con
il suo growl, ma manca, e molto, lo screaming di Piro a fare da contrasto; il
sound si è fatto a volte confuso, anche a livello di produzione, forse per dare
più spazio al basso di Alex Webster, il cui tipico finger picking non
consente certo suoni secchi e ben evidenziati, a meno che non si parli dei
Cannibal Corpse. Ineccepibile il lavoro del nuovo chitarrista Shaune Kelley
e del giovane Jade Simonetto alla batteria, ma il fatto di essere sempre,
costantemente lanciato a 300 km/h non lo aiuta di certo a mostrare le capacità
di quest’ultimo in termini di costruzione ritmica.

Si torna quindi a certa filosofia hateternaliana del passato, con Fury
And Flames
: si torna a quel King
Of All King
s
che aveva rappresentato un parziale passo falso nella discografia del
gruppo, inaridendo la vena compositiva; anche qui, come allora, non mancano per
fortuna i pezzi che tengono alto il voto, anche se non quanto ci piacerebbe: Tombeau (Le Tombeau De La Fureur Et Des
Flammes)
, almeno a partire dal break in poi, è uno dei migliori pezzi mai
scritti da Rutan, con un assolo da brividi; la cadenzata e più dinamica (era
ora!) Bringer Of Storms, scelta anche per il videoclip, è forse la
canzone che più ricorda la maturità di I, Monarch per strutture
e capacità di coinvolgere.

Molto del rimanente è buon brutal death, con ottima tecnica, ma per un
attimo scordiamoci del nome sulla copertina: questo è un album che ascolteremmo
con piacere ma per breve tempo, lasciando spazio ai veri capolavori del genere;
solo la coerenza di Rutan e la sua attitudine, nonché la consapevolezza delle
potenzialità del gruppo, ci impediscono di lasciarlo dopo pochi ascolti. Come
quando i secchioni alle scuole medie prendono per la prima volta una
sufficienza, l’amaro in bocca c’è e resta, pur essendo il valore del disco
comunque mediamente alto. “Mediamente” non è infatti parola che si
addica ai fuoriclasse.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

  1. Hell Envenom
  2. Whom Gods May Destroy
  3. Para Bellum
  4. Bringer of Storms (video/mp3)
  5. The Funerary March
  6. Thus Salvation
  7. Proclamation of the Damned
  8. Fury Within (mp3)
  9. Tombeau (Le Tombeau De La Fureur et Des Flames)
  10. Coronach”

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