Recensione: Fused
PROLOGO
11 Luglio. Anno Domini 2005. Ecco pronto per voi, signore e signori, il terzo studio album solista di Tony Iommi, storico fondatore, oltrecchè chitarrista e fac-totum, dei Black Sabbath.
Col nome di “Fused” si dà alle stampe questa ultima produzione dell’ axeman inglese,la quale ha però portato dietro di sé degli strascichi ben altro che irrilevanti.
Inizialmente infatti, come si vociferava nel tardo 2002, questo album sarebbe dovuto nascere in seno ad una collaborazione fra Iommi e il ( ormai ex ) leader dei Pantera, Philip Anselmo. Proprio mentre l’accordo era a buon punto col divenire realtà però, non si verificò la classica scintilla d’intesa che caratterizza queste unioni e quindi il progetto finì col naufragare. Per forza di cose quindi, il buon Anthony dovette mettersi alla ricerca di un’ altro singer che potesse soddisfare le sue esigenze, trovandolo in Glenn Hughes, personaggio al quale riserveremo fra qualche rigo una presentazione più adeguata.
Il trascorrere di due anni può a volte essere più breve di quanto non ci si aspetti, ed eccoci catapultati a piè pari nel 2005, con il progetto “Fused” che prende vita.
LA BAND
Frank Anthony Iommi – Guitar: Per questo personaggio penso non siano necessari ulteriori commenti od informazioni: tutti voi ben saprete, fors’anche meglio del sottoscritto, quale sia la caratura tecnica ed artistica di questo grande chitarrista, padre fondatore di un genere che lo vede a tutt’oggi uno dei più rappresentativi interpreti, nonostante il “nonnino” abbia ormai da un po’ oltrepassato la cinquantina.
Da tutti conosciuto ed ammirato come leader indiscusso dei Black Sabbath ed ideatore di alcuni dei riffs più belli ed emozionanti della storia dell’ Heavy Metal, l’ ormai ultra trentennale carriera di questo artista è costellata di performance che mi è possibile solo definire come divine. Questo disco solista ne è quindi solo un’ apparentemente insignificante appendice…
Glenn Hughes – Vocals/Bass: Una delle voci più calde ed espressive dell’ hard ‘n’ heavy mondiale, che ricordiamo, gia a partire dai primi anni 70 come vocalist dei Deep Purple eppoi, dal 1977 ( col disco d’esordio, “Play Me Out” ), come vero e proprio solista e session man.
Kenny Aronoff – Drums: Questo batterista è forse più conosciuto dagli amanti del rock melodico e della musica leggera in generale, piuttosto che da un hard ‘n’ heavy fan, visti i numerosi e prestigiosi gettoni partecipazione che questo signore ha collezionato, che vanno dai Rolling Stones ( in “Bridges to Babylon” ), ai Lynyrd Skynyrd ( più d’una ), proseguendo fino a Joe Cocker ( anche qui son diverse ) e Avril Lavigne ( “Under My Skin” ), per concludere con il da noi tanto amato Alice Cooper ( con “Dragontown” ) e col primo dei tre lavori solisti di Tony Iommi, omonimo, uscito nel 2000.
C’è da perdersi, in realtà, nella lunga schiera degli artisti che hanno chiesto la collaborazione del grande Kenny, drummer dalle poliedriche abilità ed in grado di soddisfare le esigenze di praticamente ogni tipo di genere musicale. Tanto di cappello.
Bob Marlette – Keyboards/Bass: Nel disco compare anche fra i credits dedicati al produttore ed infatti la produzione ed il mixaggio ( che risulteranno fra le numerose qualità positive ) di questo “Fused” vengono proprio curati da colui che suonerà anche gran parte delle parti di basso sul disco vero e proprio. Altro artista per il quale le parole possono essere superflue, da ormai una ventina d’anni sulla scena che conta, Robert si fregia di aver partecipato, come session bassist, con diversi altri musicisti di caratura tutt’altro che mediocre, fra i quali il già citato Alice Cooper e, tanto per parlare di qualcosa di un attimo più recente: Ozzy Obsourne, che lo vede figurare fra i partecipanti al suo ultimo disco, “Prince Of Darkness”.
ARTWORK E CONCEPT
Semplice quanto d’effetto è l’artwork di “Fused”, al centro del quale campeggia il logo di Iommi solista, contornato naturalmente, coi nomi dei due protagonisti: Tony stesso e Glenn Hughes. In tonalità di blu, sfumate d’azzurro, che danno la nitida sensazione di uno zampillo di colore che va a inondare una parete monocromatica, questa cover è stata ideata e progettata da Hugh Gilmour, con la collaborazione della JMO Design per ciò che riguarda i loghi.
L’album è stato concepito e dunque registrato, ai Tone Hall, Warwickshire e Rhythm Studios, Bidford on Avon & Monnow Valley Studios Monmouth, su etichetta Sanctuary e, rilasciato sugli scaffali dei negozi, dapprima del Vecchio Continente, l’ 11 di Luglio, il giorno dopo per ciò che riguarda il mercato USA ed infine, con qualche giorno di ritardo ( precisamente il 21 dello stesso mese ) nelle discoteche del Sol Levante; attesa però “giustificata” dall’ inserimento di una bonus track di cui godrà esclusivamente il mercato nipponico, alla quale dedicheremo spazio più avanti.
FUSED – IL DISCO
Ammetto di non saper bene identificare cosa in realtà abbia dato ispirazione a Tony Iommi e Glenn Hughes, quando decisero di comporre questo disco, né quali fossero le reali intenzioni che li muovessero a realizzare il “prodotto finito”.
Mi spiego meglio, ‘chè forse sono stato poco chiaro: nella lunghissima carriera di un artista come Iommi, i diversi tipi di sonorità a cui il suo genio ha dato vita, non ci permettono di identificarne con facilità un filo conduttore, in quanto, mente estrosa di per sè, Tony ha sempre composto in base a ciò che di getto balenasse nella sua mente, più che a creazioni semplicemente artefatte o nate per via di chissà quale insano progetto commerciale.
Difficile quindi, molto difficile, per chi vi scrive, nella fattispecie il sottoscritto, poter dire quale sia anche solo il periodo storico od il disco che più si confà al sound di “Fused”. Sta di fatto che ciò che la magica accoppiata Iommi/Hughes intende proporci è un hard ‘n’ heavy di classe, pulitissimo, che come caratteristica principale, manco a dirlo, ha dei rocciosi riffs di chitarra ( con uno Iommi che, in alcuni tratti li rende, quasi esasperando i toni, incredibilmente e inusitatamente duri ) e dei sinuosi vocaleggi che si amalgamano in maniera sorprendente con lo scorrere delle tracce dell’ album.
Rifacendomi al tema ispirazione, dato che mi ritengo un buon fan dei Black Sabbath, debbo dire che, forse, il periodo su cui trovo più terreno fertile è probabilmente quello d’inizio anni 90, da “Dehumanizer” a “Forbidden”, per intenderci.
Questo per via, principalmente, della struttura dei pezzi del disco che, sbarazzini, decidono da par loro quando e come esplodere in tutta la loro violenza o, sempre a loro discrezione, quando calmarsi e dare un po’ di respiro al povero cuore di chi ascolta, ormai in pieno sovraccarico di battiti.
Vi starete in questo momento chiedendo se per caso il recensore non sia impazzito, che addirittura conferisce a delle canzoni la capacità d’intendere e volere. Naturalmente non è così, quella che vi ho descritto è solo una sensazione, anzi LA sensazione che si ha, una volta messo mano a questo disco. Ci si rende conto da subito infatti, come ogni pezzo non rispetti una metrica preconcetta, ma anzi, tenda ad andare un po’ per la tangente, ove lo richieda la fantasia di chi l’ha composto. Non di rado quindi, ci capiterà di imbatterci in tranquille mid-tempo che in uno schioccar di dita si trasformino in pezzi dall’ incedere devastante, e viceversa.
La geniale vena artistica di Iommi poi, in questo disco si sublima con le performances di altri 3 artisti di ottimo livello ed è dunque impossibile, anzi impensabile, che ciò che ne risulti possa anche lontanamente essere un prodotto di scarso livello.
It’s the Dopamine
That gets me high
The Dopamine connects me
It’s the Dopamine
I can rely
The Dopamine reflects me
Naturalmente, le poche righe che avete appena letto, altro non sono che il refrain di “Dopamine”, brano col quale “Fused” si principia e una delle grandissime hits di cui questo disco è composto, prima però, in ordine di tracklist. Da subito ci rendiamo conto di quanto detto in merito alla chitarra di Iommi; gli accordi sono da subito potentissimi ed allo stesso tempo ispirati: mai una banalità, mai ripetitivi, mai fuori posto: la perfezione o quasi, se consideriamo poi che Hughes condisce il tutto, al microfono, con una prestazione vocale che mai ( e lo sottolineo ) gli avevo sentito uscire dalle corde vocali in questi termini.
Sarebbe interessante poter disquisire su ognuna, indistintamente, delle tracce di “Fused”, ma sarebbe ridondante e probabilmente vi tedierei maggiormente di quanto già non starò facendo adesso. Mi limiterò, questo sì me lo dovete concedere, a fare una selezione dei brani più significativi di questo disco. Questo non vuol dire che, qualora io non citassi un pezzo in particolare, la determinata canzone non mi piaccia o la reputi poco interessante. Più semplicemente ho ritenuto pleonastico parlarne poiché il giudizio su di essa sarebbe stato ben simile a quello di precedenti pezzi in ordine di passaggio nel lettore cd.
Come nel caso di “Wasted Again”, altra grande song della tracklist di “Fused”, per la quale però, vale, senza scostarsi di una virgola, il discorso fatto per “Dopamine”.
Bellissima, allo slot numero 4 della tracklist, “Resolution Song”, la traccia che forse mette di più in evidenza le grandi qualità di Bob Marlette al basso, sopra le righe sia come backgrounding che come primo piano. Molto orecchiabile il ritornello, intonato ancora una volta con grande precisione da Hughes. E’ grazie a “Resolution Song”, infatti, che ho potuto, anche se in maniera molto sommaria, identificare la maggiore matrice d’ispirazione del disco. Molto simile nell’incedere infatti ad “I”, bellissimo pezzo che potete ritrovare in “Dehumanizer”.
La sfacciata personalità di “Grace” è forse la maggiore prelibatezza di questo disco. Non si capisce chiaramente di che tipo di canzone si tratti, la sola cosa che appare nitida è la completa follia di chi l’ha composta: incredibile.
Un poco sottotono è “What You’re Living For” la quale, sebbene di discreta fattura, stoni un po’ con l’ elevata qualità delle sue compagne di viaggio. Niente di che, in effetti, perché comunque sia stiamo parlando di un buon brano che, tutto sommato, non danneggia più di tanto l’immagine di “Fused”.
Merita menzione poi, la mini suite e closer del disco: “I Go Insane”, della considerevole durata di 9 primi e 13 secondi. Insieme con “Dopamine” è senz’altro il pezzo più bello del disco. Non riesco, anche in questo momento in cui, mentre scrivo, la sto ascoltando, a descrivere che tipo di emozioni di provano ascoltando un pezzo di questo livello. Posso solo aggiungere, tanto per condire un vostro eventuale ascolto, che difficilmente ho trovato nella mia “carriera” di ascoltatore, qualcosa di così particolare. “I Go Insane” comprende infatti tutto: è una ballad, è un mid tempo, è un veloce: è tutto e non è niente. Forse è per questo che mi ha colpito subito. Il riff finale di chitarra poi, ahimè, mi fa fare un viaggio nel tempo di 25 anni, precisamente a “Lonely Is The Word”, anche se, ne convengo anch’io, fare paragoni in questo caso è quantomeno fuori luogo.
La prima delle tre bonus tracks, quella dedicata al mercato giapponese, di cui si parlava più su, è “Let It Down Easy”, dalla personalità rockeggiante in pieno stile Seventies. Niente di eccezionale, siamo d’accordo, però non si può dire che i Nostri non ci si siano messi d’impegno, ancora una volta. Divertente nel complesso e gradevole all’ ascolto: un vero peccato non avere la possibilità di annoverarla anche nella tracklist della versione europea.
THE ENDING
Questo è forse il momento peggiore per un recensore, quello in cui si devono ricollezionare tutte le idee espresse sulle righe precedenti e cercare di dare un idea generale del proprio pensiero. Il mio compito non è quello di sponsorizzare questo disco, bensì quello di esprimere, né una virgola più, né una virgola meno, il mio punto di vista. Beh, quello che penso l’avrete certamente capito: siamo di fronte ad un disco dalla caratura artistica molto elevata. Capolavoro? Si, anzi forse. Nel frattempo però, anziché perderci in inutili classificazioni che a tutto servono tranne che a farci gustare della buona musica, godiamoci questo “Fused” e, il prossimo boccale, dedichiamolo a Tony Iommi.
Daniele ”The Dark Alcatraz” Cecchini
TRACKLIST
1. Dopamine
2. Wasted Again
3. Saviour Of The Real
4. Resolution Song
5. Grace
6. Deep Inside A Shell
7. What You’re Living For
8. Face Your Fear
9. The Spell
10. I Go Insane
11. Let It Down Easy ( Japanese Exclusive Track )
12. The Innocence ( iTunes Exclusive Track )
13. Slip Away ( Real.com Exclusive Track )