Recensione: Future warriors

Di Angelo Caddia - 30 Marzo 2007 - 0:00
Future warriors
Band: Atomkraft
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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69

Gli Atomkraft sono la creatura del bassista e cantante inglese Tony “Demolition” Dolan. Nascono nel 1979 e la prima formazione risulta essere un trio costituito da: Dolan al basso e al microfono, Rob Matthews alla chitarra e Ged Wolf alla batteria. Quest’ultimo è fratello del manager dei Venom, uno dei tanti punti di contatto tra gli Atomkraft e i Cronos boyz. Eh sì cari amici tutti pelle e borchie, il nostro Tony farà parte della line-up dei Venom nel 1990 sul disco “Temple of Ice”, prestando il proprio talento anche a Mantas (storica ascia dei Venom) nei suoi Lp da solista.

Il periodo degli Atomkraft che va dal 1979 al 1983 è contrassegnato da continui cambi di formazione, che però non impediscono alla band di pubblicare un raro demo di due brani che riceve ottime recensioni su Kerrang! Da quel momento i Nostri entrano sotto l’ala protettrice della Neat Records, storica etichetta di Newcastle e motore della NWOBHM. Nel proprio rooster la label inglese accoglie gli infernali Venom, gli scatenati Raven, i minimali Holocaust, i melodici White Spirit (la band di Janick Gers, futuro chitarrista della Vergine di Ferro) e una miriade di altre band protagoniste del rinnovamento del vecchio hard rock britannico.

L’esordio discografico avviene nel 1985 con “Future Warriors” un classico prodotto “a la Neat records”, cioè produzione di bassa qualità che però non scalfisce lo stile musicale del combo. Si tratta di tipico british metal melodico e potente con belle parti strumentali epiche ed evocative. In questo platter emergono senza dubbio le affinità musicali con la band di Cronos, anche se gli Atomkraft risultano meno ostici e grezzi dei Venom. Le tonalità vocali di Tony Dolan sono meno aspre rispetto al “malvagio” collega puntando più su una vena melodica che nella maggior parte dei casi si rivela azzeccata. L’alone dei Motorhead compare in più di una occasione a ribadire ancora una volta l’importanza della combriccola di Lemmy nello sviluppo di un sound duro e aggressivo capace di fondere velleità punk e concretezza hard rock in una formula ancora oggi, a mio parere, basilare.

Il disco si apre con la durissima “Future Warriors”: song veloce e diretta che arriva dritta allo scopo, cioè quello di far roteare le vostre belle testoline come i kid inglesi dei primi anni Ottanta. “Starchild” abbassa i toni con un cantato evocativo e uno stacco simil-psichedelico. Il brano non risulta essere cattivo in se ma è privo di mordente, così come la successiva “Dead Man’s Hand”, complice una linea melodica non troppo convincente. Per fortuna irrompe l’accoppiata “Total Metal/Pour the Metal in”, ovvero il manifesto sonoro del verbo Atomkraft, fatto di ritmiche serrate, assoli grezzi e sgangherati che accompagnano un finalmente convincente Dolan. “This Planet’s Burning” passa senza lasciare segni tangibili mentre degne di menzione sono “Warzone”, un’ottima speed song colonna sonora ideale per una divisione di Panzer pronta all’assalto, la maledetta “Burn in Hell” con un bell’assolo di chitarra del discontinuo Matthews e la grande melodia di “Heat and pain” arrembante e inesorabile nel suo incedere, che chiude l’album.

Future Warriors è buon disco, certamente non privo di pecche e di passaggi non proprio entusiasmanti, tuttavia sono convinto che proprio per questo piacerà a parecchi aficionados di quel favoloso movimento musicale che fu la NWOBHM.

Angelo Caddia

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