Recensione: FWX

Di Onirica - 24 Novembre 2004 - 0:00
FWX
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Anno: 2004
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85

La classe dello storico gruppo progressivo non tradisce le aspettative, ennesimo disco riuscito che (preciso immediatamente) non potrà mai essere paragonato col valore inestimabile di grandi capolavori registrati nel precedente millennio dalla stessa band. A distanza di parecchio tempo dall’ultima release acquisto affamato l’ultima collaborazione del batterista Mark Zonder col gruppo e mi preoccupo prima di tutto di un avvertimeto fondamentale per chiunque legga questa recensione, non siate troppo precoci nel trarne un giudizio conclusivo. L’impatto iniziale è stato catastrofico ma ho saputo ricredermi dopo poco tempo, la grande forza della musica scritta dal chitarrista Jim Matheos risiede nella magia di cui è sempre stato ghiotto: niente Kevin Moore questa volta quindi ogni melodia/arrangiamento deve essere attribuita alla sua mente geniale, la sonorità globale sarà ovviamente più aggressiva e graffiante proprio per la mancanza di uno strumento come il pianoforte in grado di addolcire il tutto, risultato comunque pregiatissimo. Della sezione ritmica avremo modo di parlare più avanti, la produzione è firmata dal chitarrista appena citato e dal secondo indelebile simbolo del gruppo, nonchè emblema del progressive vocale, signore e signori Ray Alder: la sua voce racchiude un calore toccante, affianca profondità espressiva ed interpretazione al comodo raggiungimento dell’acuto, prestazione soddisfacente come di consueto ma con un pizzico di maturità aggiunta. Copertina magnifica.

Ray Alder – Vocals
Jim Matheos – Guitars, Keyboards, Programming
Joey Vera – Bass
Mark Zonder – Drums

Come un vecchio maestro che tornato a scuola ha sempre qualcosa di nuovo da insegnare, ecco una nuova esemplare lezione sul significato del verbo progressivo. La parte chitarristica che gestisce praticamente tutto il discorso compositivo scritto su carta manca forse della giusta continuità e della coerenza appropriata ma comunque sia non perde mai in naturalezza ed impatto sonoro: ogni brano si trascina dietro un colore particolare che difficilmente si accosta al successivo, tanto che persino l’ordine delle tracce sembra discutibile come se ognuna di esse fosse stata scritta a distanza di secoli l’una dall’altra utilizzando la stessa mano e lo stesso materiale, ma intenzioni diverse. Sostanza stupefacente mal distribuita insomma, ed ovviamente la traccia elettrostrumentale in sesta posizione non può che enfatizzare il piccolo difetto di questo disco strappando il foglio in due metà. Ma quello che preme commentare è la musica, come sempre originale ed affascinante in tutte le sue sfaccettature. La nutriente chitarra di Jim Matheos è affiancata dal basso elettrico di Joey Vera, ho sempre adorato la sua scelta dei suoni e la sua maniera di essere ovunque nonostante la ritmicità impervia offerta dal padrone di casa, al contrario il batterista registra la sua parte senza promuovere la benchè minima modifica alla strada già scavata dal resto del gruppo. Ci mancherà davvero? Lo scopriremo nella prossima puntata, nel frattempo godiamoci la bellezza di un lavoro che difficilmente può essere descritta in una recensione, ascolto obbligatorio ed acquisto consigliato.

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

01. Left Here
02. Simple Human
03. River Wide Ocean Deep
04. Another Perfect Day
05. Heal Me
06. Sequence #7
07. Crawl
08. A Handful Of Doubt
09. Stranger (With A Familiar Face)
10. Wish

 

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