Recensione: G.O.H.E.

Di Alessandro Rinaldi - 29 Novembre 2020 - 14:12

G.o.h.e. è il terzo lavoro del duo francese In Cauda Venenum, che ci rende partecipi dei drammi e dell’oscura infanzia di James Ellroy, lo scrittore di fama internazionale venuto alla ribalta con la “tetralogia di Los Angeles” e la “trilogia americana”. Il titolo dell’album, infatti, non è altro che l’acronimo del nome della madre, Geneva Odelia Hilliker Ellroy, trovata morta seminuda, nei pressi di un liceo, quando lui aveva dieci anni. Tre mesi prima del delitto, che ad oggi ancora irrisolto, James aveva manifestato la voglia di andare a vivere con il padre: la madre gli diede un ceffone talmente forte da fargli sbattere la testa sul tavolo, provocando le maledizioni del figlio, che quindi si sentirà a lungo terribilmente colpevole per quanto accaduto.

Le atmosfere, quindi, sono particolarmente cupe, anguste, talvolta quasi soffocanti e, per arrivare a questo risultato, Ictus e NKLS si appoggiano a tre special guests – per le parti di piano (Carette), contrabbasso (Le Maire) e violoncello (Verguin) – tutt’altro che comparse, poiché il loro contributo risulta decisivo in quei dettagli che contribuiscono ad elevare la qualità artistica di questo lavoro, particolarmente complesso ed elaborato. Unire strumenti “classici” al metal non è una novità, basti pensare all’eccellente violino di Tim Charles per i Ne Obliviscaris, ma usarli nelle parti più black non è frequente. La partecipazione di questi musicisti rende il suono più cupo ed opprimente soprattutto creando contrasti con gli strumenti elettrici o con le voci, seguendo il percorso interiore di Ellroy, che ha da sempre dovuto fare i conti con questo lutto, ma soprattutto con il fatto che non avrebbe mai saputo l’identità dell’assassino di sua madre. Bellissimo artwork, che ritrae il giovane James Ellroy in una versione post impressionista che ricorda molto “We Are Chaos” di Marilyn Manson.  L’album dura poco meno di 45 minuti ed è composto di due canzoni divise in più parti, chiaramente distinguibili: questa scelta é particolarmente azzeccata perché allontana ogni velleità progressive, e lascia libero sfogo al black, con un suono volutamente molto ovattato, che, in contrasto con la pulizia degli archi, dà un tocco depressive alle atmosfere.

Un parlato apre Malédiction, lasciando presto lo spazio alla musica. E che musica: bellissimo l’effetto che si crea tra l’alternarsi di growl e screm, con una base black condita dagli archi. E’ il brano più potente, perché è quello che parla delle difficoltà di Ellroy e che ci conduce fino all’esperienza della morte della madre.  Délivrance ripercorre l’elaborazione del lutto di Ellroy in modo tanto coinvolgente quanto reale, perché ci sono dei cambi di atmosfere che ricalcano quelli d’umore di chi vive una tragica perdita, dalla malinconia, alla depressione passando attraverso la violenta rabbia che esplode nel cantato. Solo alla fine, Ellroy, si rende conto che l’unico modo che ha per esorcizzare questo suo orrore è scrivere, rendendo partecipe lo sconosciuto lettore della sua discesa all’Inferno.

In conclusione, un oscuro e tetro viaggio in un orrore che nessuno di noi vorrebbe mai vivere.

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Genere: Black 
Anno: 2020
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