Recensione: Gamble Shot

Di Fabio Vellata - 26 Giugno 2013 - 23:17
Gamble Shot
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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67

Età media che varia tra i diciassette ed i vent’anni per i Rebellious Spirit, giovanissimo combo proveniente dalla Germania del Sud che, forte del debut album “Gamble Shot”, si affaccia proprio in questi giorni sulle scene europee.

Tutti i grandi degli eighties, hanno iniziato così. Aria sbarazzina, voglia di fare casino, ormoni in subbuglio ed alto voltaggio sonoro riversato in brani immediati e di facile orecchiabilità. Il risultato, quasi regolarmente, si è poi mostrato come piuttosto simile nella sostanza: di solito, un buon hard rock dai toni schietti e divertiti, scevro da qualsivoglia complicazione stilistica o concettuale.

I tempi sono decisamente differenti e l’ecosistema sociale radicalmente mutato, pur tuttavia ai quattro giovani virgulti teutonici la cosa non pare interessare più di tanto. Hard rock melodico deve essere. Ed hard rock melodico sia…
Presentati con un pelo di eccessiva enfasi dalla propria casa discografica come una delle band più promettenti in circolazione, i Rebellious Spirit dimostrano, con la vigoria della loro giovane età, tutti i pregi ed i difetti di un gruppo alle prese con un esordio discografico soddisfacente quanto insidioso. Giunto cioè, quando l’esperienza non è ancora maturata in termini sufficienti nel porre al riparo da qualche lampante ingenuità di fondo.

Solare, infatti, come il disco suoni decisamente bene, mostrandosi agile, semplice e molto diretto. Altrettanto evidente come determinate caratteristiche quali personalità, sonwriting non troppo stereotipato e doti tecniche di valore assoluto, siano – di contro –  elementi ad oggi ancora in buona parte da esplorare.
“Gamble Shot” – va detto – si lascia ascoltare con piacere, offrendo spunti e paragoni che rimembrano grandi band del passato quali Skid Row, Poison, Warrant e Black n’Blue, insieme a qualche canzoncina facile, facile, condita da cori ruffiani, capace di innestare quasi immediatamente il pilota automatico della memoria. In ugual modo tuttavia, il debut album del gaudioso quartetto tedesco si propone come ancora indebolito da situazioni al limite della banalità, in cui si rendono conclamati i confini ad oggi ristretti di una realtà non ancora del tutto matura per un vero confronto con i grandi dell’arena rockettara.
Li potremmo fotografare insomma, in modo lesto ed infallibile, come talentuosi ma assolutamente acerbi.

Acerbo è, in effetti, un livello compositivo che non riesce a discostarsi da una confortevole e sicura rielaborazione di canoni stilistici ben noti e consolidati. Acerbo è il tasso di valore tecnico (per quanto nemmeno fondamentale in un gruppo hard rock) in possesso dei singoli membri. Come immatura pare essere la voce del giovanissimo Jannik Fischer (diciassette anni), ed ancora tutta da affinare l’attitudine di una band per ora ristretta in un ambito in cui la fantasia nella struttura delle canzoni è bandita e la ricerca di atmosfere e “feeling” personali, del tutto fuori portata.

Germogli di buona classe luccicano ovunque ed i brani – quello più, quello meno – rispondono un po’ tutti alle regole del buon gusto e di un dignitosissimo livello di facile ascolto, con menzione d’onore per le belle “Change The World”, “Don’t Leave Me” (Skid Row e Guns in dosi massicce),  “Lights Out” e “You’re Not The Only One” (un immaginario punto d’incontro tra HEAT e Poison).

La strada per ottenere vere affermazioni che vadano oltre un effimero elogio in biografia è, tuttavia, ancora lunga ed in buona parte da percorrere. Del resto, come avrebbero detto gli immortali Rolling Stones tantissimi anni fa, “Time Is On Their Side”

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