Recensione: Garden of a Dream

‘Garden of a Dream’ dei No Hiding Place è un album che si muove con grazia.
Difficilmente troverete, nelle proposte degli ultimi anni, un mix di sonorità così bilanciato, quasi delicato, da sorprendervi.
Sia ben chiaro, per me è un risveglio musicale: non sono mai stata fan del genere, ma ho visto questi ragazzi live e il loro lavoro mi aveva già stuzzicata all’epoca.
La modestia, l’energia, la fame di palco tipica della loro età sembrava quasi tenera allora ma più mi sono spinta dentro il loro lavoro, più mi sono resa conto che non è una fumata passeggera, una sigaretta fumata con gli amici che inizia e finisce in quel momento, c’è qualcosa di più.
E proprio con una sigaretta si apre ‘Prologue’, con un piccolo vezzo di chitarra e tastiera con forse una reminiscenza ai Pink Floyd, il nostro accesso al mondo dei sogni in cui il fraseggio sottolinea che la direzione che stiamo prendendo porta al prog.
Siamo entrati, le porte del giardino si schiudono di fronte a noi e qui la band si gioca (quasi) tutte le sue carte.
La batteria la fa da padrone, con un ritmo spezzato e leggermente sincopato, fedelmente seguita da un basso dalle apparenze distorte (i ragazzi han studiato le lezioni di base, i Metallica di ‘Orion’ ne sarebbero fieri) e l’hype cresce fino all’apertura vocale inaspettatamente pulita che strizza l’occhio, ancora, ai grandi classici, palesandosi con uno sfacciato (ma delizioso) omaggio a ‘Pull me Under’ degli americani Dream Theater.
E quando pensi di aver capito dove porterà il pezzo, ecco che parte il growl, allontanandoli dal classico schema (a mio avviso piuttosto banalotto) del prog, facendogli saltare quel gradino che li porta ad un livello musicalmente più alto, migliore.
È questo il coraggio compositivo, seguire l’istinto e non rinchiudersi negli schemi di una composizione di genere, con la lezioncina già fatta e le istruzioni già scritte. Questa, per me, è scintilla compositiva.
Gli arrangiamenti melodici ci riconducono verso l’assolo, dove la chitarra onirica di accompagna a ‘Phobia’, terzo pezzo dove la ricetta cambia ancora.
La sensazione è quasi claustrofobica, abbiamo un mix di Death e di tradizionale Thrash conditi con del Prog.
L’album intero è una corsa in un labirinto, dietro ogni angolo potrebbe nascondersi un sogno … oppure un incubo.
La dicotomia continua ancora con ‘Entrance’, una piccola perla di relax onirico e si spezza con ‘Inner Act’ e la complessità di ‘Beneath the Appearance’.
E se credevate di non poter più uscire da questo sogno, beh, vi confermo che è così.
‘Nihilism’ è il perfetto riassunto delle potenzialità della band, la palla di neve che inizia piccola e rotolando e può diventare valanga, distruggendo ogni cosa sul suo cammino.
Un album che sorprende, ‘Garden of a Dream’, che vien voglia di ascoltare ancora e ancora, ricco di sorprese, mai banale, fortunatamente molto lungo: un grandissimo lavoro musicale e tecnica strumentale.
Ed è soprattutto merito della grande fantasia espressa in questo eccellente percorso sonoro: i ragazzi sono pieni di talento ed inventiva, per me un album eccezionale dal punto di vista compositivo, ben al di sopra della maggior parte delle realtà non solo underground ma anche di molti “big” che da molti anni non hanno più idee, ma tirano solo a campare (ebbene sì, l’ho detto!).
Qui c’è una fucina di idee, un esordio col botto, un album fantastico che soffre solamente di una produzione homemade ma con un ottimo mixaggio però, e che, nonostante questo, l’anima stessa del disco non perde di complessità, anzi, è lodevole lo sforzo e ancora di più l’iniziativa di chi, pur di consegnarci il suo lavoro, trova tutti i mezzi.
Spero che i ragazzi facciano carriera e continuino a sfornare prodotti sublimi come questo e non cadano vittime di manierismi tipici del genere. Rivolgo a loro lo stesso consiglio che dette Steve Jobs, “Stay hungry, stay foolish“!!!