Recensione: Garden of Storm
“Garden of Storm”, il sesto full-length degli In Mourning, chiudendo una trilogia tematica iniziata con “The Weight of Oceans” (2012), funge da macchina del tempo, proiettando il combo svedese sia nel passato, sia nel futuro. Un cronoviaggio il cui punto di partenza coincide con la realizzazione di un death metal piuttosto classico, seppur melodico, che, a mano a mano che gli anni passano si sta trasformando in una miscela sempre di melodic death metal con, però, delle notevoli inserzioni di doom e progressive metal. Soprattutto di quest’ultimo.
Rispetto al precedente lavoro, “Afterglow” (2016), c’è stato un cambiamento della line-up, specificamente per ciò che concerne l’intera sezione ritmica appannaggio, ora, di Sebastian Svalland (basso) e Joakim Strandberg-Nilsson (batteria). Una modifica strutturale che non spiega completamente, almeno teoricamente, la rapida evoluzione che gli In Mourning stanno compiendo verso lidi musicali più rarefatti, meno immediati e più difficili da digerirsi.
Il che significa che la progressione verificatasi negli ultimi tre anni di preparazione all’album è da assegnarsi in primis al talento compositivo del formidabile trio che risponde ai nomi di Tobias Netzell (voce, chitarra), Björn Pettersson (chitarra, voce) e Tim Nedergård (chitarra). Certo, i ritmi dettati dal nuovo drumming sono proprio quelli che contraddistinguono il progressive, con pattern assai dinamici, vari, che abbracciano una moltitudine di suddivisioni temporali complesse, pari, dispari, comunque accidentate e mai lineari.
No, il cambiamento di stile del quintetto di Falun va ricercato nella costruzione delle canzoni, nella loro profondità emotiva, nel lavorìo delle chitarre e delle linee vocali, tese a scrivere episodi piuttosto eterogenei fra loro, seppur ricompresi nell’identico stile appositamente forgiato per “Garden of Storm”. Una molteplicità di segmenti ciascuno dotato di una viva personalità, ma obbediente al modus operandi di una formazione che ha evidentemente raggiunto la piena maturità tecnico/artistica e che, attualmente, pare essere in un momento di transizione dal vecchio al nuovo, ancora da raggiungere nella sua forma completa. Una sensazione che è percepibile per via dell’altalenarsi di brani più intensi, come l’opener-track ‘Black Storm’, ove il death metal si nutre ancora di note, ad altri più eterei, tipo la closing-track ‘The Lost Outpost’.
Più precisamente, ciascuna traccia – annoverabile a ciò che viene definita suite – assomma a sé tutti gli elementi che, poi, si trovano sparsi ovunque, fra i lembi svolazzanti di “Garden of Storm”. Così, nella ridetta ‘Black Storm’, si lasciano continuamente il posto intarsi aggressivi pilotati da BPM elevati sino agli up-tempo e a growling brutali, a sezioni melodiche sottolineate da strofe interpretate con ottime clean vocals. Nell’altalenarsi di questi movimenti, non manca mai l’energia per elevare la potenza complessiva a livelli più che notevoli, ove i Nostri rimembrano i passati più arcigni e possenti. Merito, quindi, di basso e batteria che tirano sia di spada, sia di fioretto.
Seppur più lunghe della media, i pezzi delle song del platter non annoiano, nemmeno ad ascoltarle e riascoltarle. Anzi, facendo così, si arriva ad assimilarle tutte nella loro completezza, giungendo ad assorbire il meraviglioso mood che pervade ogni fessura di “Garden of Storm”, che è un flavour misto di dolcezza e malinconia, a volte più intenso per sfiorare la tristezza.
“Garden of Storm” rappresenta allora la freschezza, il rinnovamento, la rinascita, per gli In Mournig. Il raggiungimento di un traguardo ma anche un momento di riflessione su quale sia la strada maestra da intraprendere, nella costruzione dei lavori a venire. Tuttavia, anche se forse ancora un po’ indeciso sulla definitiva direzione cui rivolgere la prua, questo processo non inficia la bellezza di una musica da godere appieno, da centellinare a poco a poco per non perdere nulla, da gustare senza fretta.
Tutto sommato, tirando le somme e sintetizzando al massimo, gli In Mourning hanno preparato una bella sorpresa, che potrà piacere, o meno, agli appassionati del metal estremo.
Daniele “dani66” D’Adamo