Recensione: Gates Of Flesh
LA RESURREZIONE DEL REVERENDO
“DOOM METAL IS DEAD” recitava l’adesivo promozionale appiccitato sullo slipcase dell’edizione CD di “So Long Suckers”, ultimo (capo)lavoro in studio rilasciato da tre loschi individui provenienti dalla Terra dei Mille Laghi che, con un pizzico di esagerato egocentrismo, osarono comparare il loro annunciato sciglimento alla morte del vero spirito del genere stesso….
….i Lord Vicar sono appunto, per i più avezzi delle sonorità rallentate a ricolme di angoscia esistenziale, la nuova incarnazione dei ‘defunti’ Reverend Bizarre, formazione finnica di cui il sottscritto era un discreto patito (e che ritengo tuttora una delle più pure espressioni musicali, se non la più pura, del concetto di Doom Metal del post-2000), qui tenuta per le redini da Kimi Kärki, già chitarrista del Reverendo Bizzarro sotto lo pseudonimo di Peter Vicar, e che per l’occasione ha reso la sua nuova (re)incarnazione più internazionale contattando addirittura Christian ‘Chritus’ Linderson, voce originaria dei mitici Count Raven (e dei Saint Vitus per l’album “C.O.B.”), dietro il microfono.
La formazione é completata dalla presenza del batterista ‘multietnico’ (originario del Regno Unito, lavoratore in Kuwait e residente in Svizzera) Gareth Millsted, senza contare della futura presenza dal vivo, almeno stando a quanto riporta la bio ufficiale del promo in mio possesso, di Sami Albert Hynninen, un tempo meglio noto come Albert Witchfinder nell’epoca (8 anni di assenza si fan già sentire….) dei Reverend Bizarre, qui al basso ed in grado di rendere la formazione più famigliare (anche se ora, consultando Metal Archives, pare che il posto sia preso da Jussi Myllykoski, roadie originario dei Revered Bizarre, ma nulla é ancora certo per ora).
Udite udite, “DOOM METAL IS ALIVE AGAIN”!
IL REVERENDO E’ RISORTO! LUNGA VITA AL REVERENDO!
I Lord Vicar sono, insomma, una prosecuzione di un percorso musicale dal trademark assolutamente unico quale era quello della formazione oggi disciolta nelle sabbie del tempo: tocca al nuovo “Gates Of Flesh” quindi, continuare a tramandarne il verbo ed é un’operazione che, diciamocelo subito, viene mantenuta senza rimpianti.
Il trademark chitarristico di Kimi Kärki é infatti riconiscibilissimo: partendo da una copertina che cita “Ninfe e Satiro”, dipinto del 1873 di William Adolphe Bouguereau che ben si adatta alle liriche incentrate sui piaceri e debolezze della carne su cui sono incentrate le tematiche che compongo tutti i brani del’album (pur non avendo a che fare con un concept album vero e proprio), il primo brano in scaletta parte con un ritmo in terzine che ‘puzza’ proprio di Reverend Bizarre, ed il lead di chitarra che parte subito dopo pochi secondi non può che rimarcare questa impressione.
Il citato brano di apertura, dal nome di ‘Birth Of Wine’, ruota nella sua prima fase attorno ad un lead di chiaro stampo blues sanguigno e maledetto, riparte suadente dopo un inizio in terzine turbolento, per poi evolversi in un’esplosione di epicità e commozione.
” That one day you did come to me and offered your relief
You whispered secrets in my ear and showed me how to dream
This is the start of my new life, I witness the sparkling glow that you carry
Is there an older love we could hide during this unreal nocturnal ride? “
E’ su questi versi il brano che il brano prende una piega epica inaspettata ma allo stesso tempo del tutto coerente con il suo incedere iniziale: il risultato é da lacrime agli occhi, rappresentando a tutti gli effetti un messaggio lirico che trascende i limiti della parola per impossessarsi delle corde e pelli vibranti degli strumenti….sulle prime penso che ‘se il buongiono si vede dal mattino, questo disco sarà fenomenale’, ed infatti tale si é rivelato.
La produzione, dal piglio decisamente grezzo ed in presa diretta senza eccesso di pesantezze in fase di post-produzione, dona al disco un taglio realmente splendido, autentico, un animo positivamente corrosivo come del buon whiskey invecchiato, in grado di risvegliare i sensi per un suono vivo e ricolmo d’anima: sembra davvero di avere a che fare con una rielaborazione moderna di quello che fu il sound dei Black Sabbath dell’era “Sabotage”, riprendendone lo spirito ma riadattandolo all’anno attualmente in corso.
E sono proprio i Sabbath di quel disco a riecheggiare con prepotenza lungo alcune atmosfere e riff del disco: ne é un esempio la rocciosa e malinconica ‘The Green Man’ che, nonostante un riff in puro stile Reverendo Bizzarro, mostra dei muscoli tutti Sabbathiani con quel cantato che sembra rifarsi all’Ozzy dei bei tempi ed un assolo intrecciato che pare uscito dalla mente del Tony Iommi più visionario.
La bellezza di un brano del genere é data appunto dalla fusione tra le sue influenze e la sua stessa personalità: rivivere grazie alle gesta di chi ti ha preceduto senza metterci un pizzico del proprio animo é purtroppo limite e spina nel fianco di moltissimi gruppi dai generi più svariati, ma i Lord Vicar riescono veramente ad essere tutto questo mantenendo le due entità del loro suono in perfetta simbiosi e totale sincronia artistica, con in più ritornello che suona decisamente come dei Beatles (- con un Ozzy alla voce, ovvio! – Nda) che danno piede alle loro angosce vitali.
Quanti riescono in questo intento?
IL “SABOTAGE” DEL 2016, BEN 41 ANNI DOPO
E tutto il disco, pur rivivendo di atmosfere care ai Sabbath del 1975, riesce ad essere un rifacimento moderno dello spirito che animava quello storico album, imbottendolo rigorosamente, a livello lirico, di dosi massiccie di riflessioni sui piaceri terreni dati dallo sfregamento rispettivo delle carni umane, azione che regala in simultanea dosi eguali di gioia ed angoscia (almeno secondo il comparto lirico del disco), ed il che si riflette anche sul comparto prettamente strumentale del disco e sulla produzione, donandoci un maestoso gioiello di Doom Metal marchiato 2016.
Ed é con questo spirito moderno che il disco tutto si rivela un’Opera Magna contenente perle di assoluta e rara bellezza come la breve parentesi strumentale perennemente sospesa nel vuoto di ‘A Shadow Of Myself’ che ci porterà a discendere pericolosamente nella voragine del tumultuoso ed epico incedere di ‘Breaking The Circle’, il ‘blues-metal’ serpertino e velenoso di ‘Accidents’ e soprattutto ‘A Woman Out Of Snow’, vero e proprio capolavoro dell’album che meriterebbe un discorso a parte.
Tale brano infatti, parte acustico e si imbottisce pian piano dei tipici incedere ‘Reverendiani’ tanto cari al Peter Vicar di un tempo, portando il tutto ai livelli di una maestosa suite strumentale che di colpo calma nuovamente le sue tempeste, riportandoci con commovenza alle delicate atmosfere con cui il brano ci ha introdotti.
Un qualcosa realmente da ascoltare.
Chiude il tutto ‘Leper Leper’ che, con i suoi 10 minuti di durata infarciti di elettricità e di un aspro finale, chiude con acida eleganza un disco a suo modo perfetto.
In chiusura, mi sento davvero di dire di aver vissuto un’esperienza più che aver ascoltato un semplice disco: un disco talmente di alto livello a cui ti senti di perdonare tutto, persino quelle parti, non rare, in cui la voce rantola a fatica e zoppica un po’….ma in fondo questo é un disco in presa diretta e riesce, appunto, con queste intenzioni ad andare oltre il negativo margine dell’errore e tramutarlo in qualcosa che urla con prepotenza a suo favore.
DOOM WHAT THOU WILT!
Ed eccoci quindi al cospetto di quello che, sono certo, per me sarà IL disco Doom Metal dell’anno tuttora in corso: commovente ed emozionale oltre ogni limite, “Gates Of Flesh” ci ripropone dei nuovi standard con cui confrontarsi anche se, sono certo, per molti altri sarà solo un altro, ‘normale’ disco Doom Metal.
Bisogna essere davvero ‘dentro’ al genere, alla sua essenza minimale più intima, per capire davvero la grandezza infinita di un’opera come questa: e se, come il sottoscritto, avete amato i Reverend Bizarre ed il doom nella concezione più asciutta, allora state certi che “Gates Of Flesh” sarà la vostra colonna sonora per i mesi a venire, il vostro Mantra esistenzialista che darà luce alla vostra filosofia di vita.
Il Doom Metal del 2016, quello vero, sanguigno e verace ha un nuovo nome: Lord Vicar.