Recensione: Gateways To Annihilation
G come Gateways To Annihilation. I Morbid Angel proseguono con l’ordine alfabetico e giungono al loro sesto full-lenght. Un disco che all’interno dell’intera discografia morbidangeliana viene ad assumere più importanza di quanto possa sembrare.
Infatti “G” segue un disco come Formulas Fatal To The Flesh che seppur violentissimo e suonato egregiamente aveva un po’ appiattito la proposta dei Morbid Angel, che sembravano aver perso quell’alchimia che aveva pervaso i primi 4 (capo)lavori della band. Molto probabimente quel quid in più che ha sempre caratterizzato i lavori della band, il growl cavernoso e il carisma del frontman storico David Vincent (che aveva abbandonato la band dopo il live Entagled In Chaos), unita ad una vena compositiva non più come nei primi anni novanta, aveva fatto sorgere parecchi dubbi sul futuro dei nostri. Quindi questo Gateways To Annihilation ha rappresentato la cosiddetta “prova del nove”.
E proprio nel momento forse più difficile della carriera, i Morbid Angel danno alla luce un album molto difficile e coraggioso. Abbandonata in gran parte la velocità di “F” Trey e compagni decidono di comporre un disco dove le famose melodie malsane e sulfuree, già presenti in dischi come Blessed Are The Sick e Domination, faranno la voce grossa. Il death metal proposto in queste nove tracce (più due brevi strumentali) è ossessivo, lento, intricato ma che non disdegna le classiche sfuriate che sono intessute all’interno dello schema compositivo come meglio non si poteva. Da qui si deduce il grande lavoro in fase compositiva e di arrangiamento eseguito per la maggior parte da Azagthoth. Benchè le canzoni siano assestate su ritmi mai così lenti per i Morbid Angel non annoiano mai l’ascoltatore e rivelano a poco a poco particolari che emergono solo dopo vari ascolti. Anche l’affiatamento dei
componenti del gruppo sembra migliorato: Tucker sembra ora trovarsi a proprio agio dietro al microfono sfoderando una prestazione di tutto rispetto, la coppia di chitarre, che vedono il rientro di Erik Rutan, macinano riffs spettacolari e Sandoval dimostra quanto sia bravo e vario anche su tempi compassati.
Un’analisi traccia per traccia non servirebbe a nulla. Il disco è compatto, senza cali di tono. Anche i classici intermezzi sono disposti con intelligenza (purtroppo ci ricascheranno con l’ultimo Heretic). Nel lotto di canzoni proposte spiccano Summoning Redemption che incede inesorabile nei nostri timpani, con una parte solistica eccezionale, He Who Sleeps, la song più lenta e sofferta dove si percepisce tutta l’aria malsana che sprigiona questo disco. At One With Nothing è la dimostrazione che i Morbid Angel sono ritornati a livelli compostivi eccellenti con una prova maiuscola da parte di tutti componenti. Non mancano certo i momenti dove i nostri tornano a picchiare duro…La velocissima To The Victor The Spoils e la maestosa God Of The Forsaken sprigionano tanta violenza e tecnica capaci di mettere in riga ancora tutti quanti.
La produzione, ad opera di Jim Morris e del gruppo stesso, è perfetta per il mood oscuro e anthemico del disco. Chitarre taglienti, batteria triggerata ad hoc e vocals ben definite. L’artwork, ad opera di Dan Seagrave, e i testi tipici dell’angelo morboso fanno il resto.
Al termine di questa recensione posso dire che ci troviamo di fronte al miglior disco dell’era Tucker, in cui i Morbid Angel hanno dato per l’ennesima volta dimostrazione di saper plasmare un genere “per definizione” conservatore come il death metal a proprio piacimento. Basta averne le qualità…e i nostri ne hanno da vendere.