Recensione: Gea
Gli [IN MUTE], con “Gea”, raggiungono il traguardo del secondo album in carriera. Quello, cioè, della solidità, che permea la formazione spagnola in ogni suo poro, in ogni suo anfratto.
Gli [IN MUTE] hanno scelto una soluzione ormai classica, nell’ambito del death metal moderno: affidare il microfono a una donna, Arch Enemy docet. In questo caso, però, occorre davvero porre attenzione per riconoscere, nell’aggressione totale delle linee vocali, una componente femminile, nel furioso, potente, graffiante semi-growling di Steffi. Una prestazione maiuscola, che detta nuovi orizzonti su come affrontare questo genere di cantato. Steffi non gioca a fare l’uomo, bensì ci mette semplicemente del suo, e tutto, nelle semi-harsh vocals che, assieme al ridetto semi-growling, delineano in modo unico uno stile si potrebbe dire perfetto.
Così, con piglio veemente, sentito, travolgente, in “Gea” sono narrate le infinite brutture che l’Umanità perpetra nei confronti del proprio pianeta natio: la Terra. Il mood è non a caso piuttosto tetro e oscuro, come se la musica degli [IN MUTE] fosse la voce straziante di un corpo celeste ormai irrimediabilmente danneggiato. Irreversibilmente.
Il death metal dei Nostri è la versione più moderna che ci possa essere oggi, nel 2017. Death sino al midollo, appunto, sferzato da furiose ventate roventi di blast-beats, impiantato su una base immensa costruita dal poderoso riffing delle due chitarre. Brave a farsi strada fra le fiamme della devastazione sia con ritmiche serrate, violente, compatte, sia con soli fulminanti, laceranti.
Quello degli [IN MUTE] non è melodic death metal, assolutamente. Neppure deathcore. Tantomeno, djent. È puro e semplice death metal, molto, molto tecnico. Talmente tecnico da poter avvicinare a esso senza errrore l’aggettivo progressivo. Certo, non è asciutto e privo di calore come certe ramificazioni del death stesso. Anzi, in certi frangenti, come in ‘Gea’s Defence: Disease’, la dose di armonia non è poca. E fa piacere, poiché l’antitesi fra la rude ugola di Steffi e certi passaggi meno arcigni della musica è uno degli elementi primari del disco.
Lo stile raggiunto dagli [IN MUTE] è adulto, maturo, ineccepibilmente definito, formato. Non è un caso: la formazione di Valencia esiste dal 2003, e gli anni trascorsi sono servizi ad accumulare esperienza e ad affinare l’esecuzione, perfettamente in linea con le migliori produzioni attuali. Tant’è che, per esempio, ‘Damage Inc.’, cover dei Metallica di “Master of Puppets” (1986), è interpretata… quasi meglio dell’originale. Segno di completa padronanza tecnica e artistica del genere che si suona: circostanza che dovrebbe essere scontata ma che, invece, non lo è affatto. Gli [IN MUTE], insomma, sono un ensemble… grande.
Come più su rilevato, “Gea” è l’Opera Seconda. Con sé, quindi, ci sono ancora dei punti migliorabili, dei particolari non ancora perfettamente messi a fuoco. Non c’è molto, in effetti, se non una certa discontinuità nella qualità dei brani. Alcuni per l’appunto eccezionali (‘Gea’s Defence: Disease’, ‘Human Obsolescence’ – vera fiondata di piombo fuso sui denti), altri più… normali (‘Human Obsolescence’). Se tutte le song fossero assestate sul livello delle migliori, “Gea” sarebbe un must clamoroso, anche se freschezza compositiva, modernità e particolarità non mancano.
Gli [IN MUTE], senza ombra di dubbio, hanno senz’altro nelle corde ciò che serve per compiere il definitivo salto di qualità. In loro c’è tutto l’occorrente per fare bene e, soprattutto, per uscire dai confini nazionali per imporsi come realtà avanzata del death metal in ambito internazionale.
Basta solo tirare fuori tutto il talento che si percepisce.
Daniele “dani66” D’Adamo