Recensione: Gemini

Di Manuele Marconi - 24 Febbraio 2025 - 0:33
Gemini
Band: Sulfator
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno:
Nazione:
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81

Ci sono gruppi che creano generi, magari nel silenzio generale, e ce ne sono altri che magari quei generi li portano sotto le luci della ribalta. Parliamo rispettivamente degli sfortunati Aspid e dei celeberrimi Vektor, pionieri di un certo genere di thrash metal, veloce, quasi isterico, ma senza sfociare nel caotico, contemporaneamente tecnico, intricato rimanendo però fruibile ad un orecchio ben allenato. Purtroppo dopo il capolavoro dei Vektor “Terminal Redux” c’è stato un grande vuoto artistico in tale direzione, prima dovuto allo scioglimento della band, successivamente ai noti problemi legali del frontman David Di Santo, per arrivare di rizzica e di ruzzica al 2025 con l’ultimo full length targato 2016. Nel frattempo più di un gruppo ha provato a seguire questa strada, con risultati decisamente deludenti sotto tutti i punti di vista. Nel marasma di cloni senz’anima sono riusciti a distinguersi gli italiani(ssimi!!) Vexovoid, ma ahimé anche loro caduti nel vortice del “ma quando esce il nuovo album?” senza ad oggi ritorno.

In questo quadro, che rantola inerme ed emana decadente sfinimento, una saetta illumina la tela smunta: parliamo dell’oggetto dell’analisi di oggi, ovvero “Gemini”, LP d’esordio dei francesi Sulfator. I quattro di Tolosa in realtà covano questo progetto musicale dal lontano 2015, ma solo dopo dieci anni si sono decisi ad entrare dalla porta principale della scena, provando a prendersela. Ci saranno riusciti?

Il disco parte molto bene, con una sequenza di tre brani indovinati che colpiscono positivamente, ma danno un’idea molto (forse per qualcuno troppo) precisa delle influenze che hanno permeato i ragazzi in fase compositiva: Megadeth (echi di Hangar 18, Dystopia, Washington is next), Gojira (in alcune linee vocali e soluzioni stilistiche ravvisabili più avanti nel disco) e ovviamente Vektor (nell’impostazione generale e nel feeling). Attenzione però: i riferimenti vengono subito in mente, ma non si tratta di un copia e incolla; piuttosto sembra un assaggio, come a dire “state tranquilli che qua c’è qualità”, e così è. Infatti in tutti i brani successivi viene fuori la personalità del gruppo, che tira fuori dal cilindro riff eccezionali, taglienti, melodici, forti. Tutti i membri incidono sul granito le loro capacità in studio, ed ogni strumento risulta memorabile, distinguibile e accattivante. Su questo va comunque fatto un piccolo appunto: la voce non sempre è al top, nel senso che sembra un po’ “al limite” in alcuni frangenti, come se non raggiungesse l’effetto desiderato, ma ci si può lavorare senza problemi. Pezzi del calibro di “Over Space And Time”, “Voidblast” e “Ophidian Son” sono davvero di alta scuola; complessivamente la seconda metà del disco è nettamente in crescendo rispetto alla prima, comunque buona.

Una produzione quasi perfetta va a mettere la proverbiale ciliegina su una torta inaspettatamente gustosa, che è stata davvero una ventata d’aria fresca e speranza. Al netto di una voce non sempre ineccepibile e del fatto che ci troviamo davanti ad un esordio (concetto da sottolineare più volte) non ci resta che constatare che abbiamo sotto mano un gruppo che in potenza potrebbe davvero fare qualsiasi cosa. Se il buongiorno si vede dal mattino…

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