Recensione: Geminus Schism
Abbiamo affrontato i molteplici progetti del vulcanico Maciej Pasinski nella rubrica From The Dark Side, quando sono stati presi in considerazione gli interessantissimi Sirrah, band degli anni Novanta (pur)troppo presto dimenticata. I Pincer Consortium nascono da una delle sue tantissime idee, questa volta in collaborazione con Pete Dempsey degli Scald, storica band grind d’avanguardia di Belfast, qui impegnato a creare liberamente liriche che potessero scatenare l’irrefrenabile fantasia compositiva di Pasinski.
L’aspetto concettuale impregnato di fantascienza weird permea nel profondo sia l’aspetto lirico che quello musicale, nonchè visuale, del progetto. A questo proposito va ricordato che l’album è accompagnato da un art-book di ben 450 opere realizzate da Maciej con l’intelligenza artificiale. E qui si potrebbero sprecare inutilmente ore preziose della nostra breve vita per pontificare su cosa è arte e cosa non lo è: ricordo solamente che esistono fior di corsi universitari di estetica e filosofia, oltre ad una sterminata bibliografia accademica, che affrontano la questione di cosa è arte e di chi lo determina, se l’artista, il critico o il pubblico. Scrivere una recensione non è un gesto democratico, specialmente se, come il qui presente/assente, si reputa efficace lo stile gonzo di un gigante come Hunter S. Thompson. Io sono qui per offrire il MIO punto di vista, basato sulle mie esperienze e su quanto ho appreso nella vita: nel caso dei Pincer Consortium e di come hanno impostato il loro concept sì, l’intelligenza artificiale aiuta il creatore umano a creare vera e propria arte. Punto.
La musica, in un qualche modo, rispecchia alla perfezione il caos controllato presente nelle deliranti – ma lucide – immagini presenti nell’artwork. Il viaggio sonico proposto dai Pincer Consortium è un caleidoscopio di suggestioni che vengono da altri mondi, umani ma soprattutto inumani. Per tutto l’album ci troviamo di fronte ad un monolitico metal estremo che nulla lascia al caso e che accoglie – senza esagerare – suggestioni mutuate dal sound industriale e da quello elettronico, due ingredienti che aiutano l’ascoltatore ad immergersi nei tanti assurdi mondi creati dalla band. La produzione è potente ma allo stesso tempo limpida, consentendo così all’ascoltatore di apprezzare arrangiamenti raffinati come nella conclusiva ‘The Bi-fold Conclusion’ che, con le sue vorticose e inaspettate melodie, mi fa desiderare un prossimo album magari più improntanto su queste sonorità sì post-apocalittiche ma mai asfissianti. La drum machine spesso programmata in funzione di blast-beat che non mostrano alcuna pietà non toglie ai Pincer Consortium la possibilità di elaborare pattern ritmici più elaborati e sorprendenti, come nel caso di ‘Dual Termination Shock’. E brani più cadenzati come ‘Tandemic Dispersal’ riportano alla mente le più interessanti ed oscure suggestioni industrial degli anni Novanta.
In generale ci troviamo di fronte ad un lavoro che non fa prigionieri: o lo si ama o lo si odia, proprio come l’approccio nei confronti dell’arte generata dall’AI. Questo è un disco sincero, creato con passione da chi crede nelle proprie possibilità e nell’amore per il sincretismo artistico e musicale senza compromessi, senza bisogno di approvazione da parte di pubblico o stampa.