Recensione: Generation Goodbye
Non solo power dalla Germania, ma anche l’hard rock orecchiabile e furbino dei Kissin’ Dynamite, che con questo Generation Goodbye giungono al quinto album in studio.
Il disco tratta in modo ondivago la relazione della nuova generazione con la tecnologia e i social network; si vedano, a modello, il testo di Hashtag Your Life e la copertina, che accosta un display di cellulare pieno di contatti virtuali a un tavolo solitario ricoperto di birre vuote in un bar chiuso.
La musica, tuttavia, non ha niente di malinconico, presentando anzi linee melodiche di facile presa, atmosfere più roboanti che riflessive e ritmiche da balzi sotto il palco. Le vaghe pennellate di metal che affioravano in qualche solco dei precedenti prodotti della band tedesca sono state del tutto cancellate, per far posto a suoni modernissimi e iper-prodotti (dalla band stessa), che riescono sì a valorizzare la potenza di certi ritornelli anthemici ma annullano ogni freschezza esecutiva, con il risultato che la musica esce fredda e, in ultima istanza, graffia senza lasciar segno. La band stessa pare, infatti, distante dalle proprie composizioni, tanto esse sono sepolte sotto un pasticcio produttivo che uccide il gusto di ascoltare uno sporco charleston aperto. In questo, Generation Goodbye si configura più come un disco pop rock che non hard rock.
Ed è un peccato, perché alcune idee non sono affatto male. La title track, ad esempio, è un inno che potrebbe suonare davvero bene dal vivo, dove la band sarà finalmente chiamata ad essere reale e le canzoni non potranno che giovarne. Hashtag Your Life ha un buon riff cattivo, purtroppo ucciso da una ritmica fuori luogo, mentre il pezzo scade nella banalità di un ritornello sentito troppe volte.
Lo spettro degli H.E.A.T., strisciante lungo l’intero disco in un confronto da cui i tedeschi escono perdenti, fa capolino in If Clocks Are Running Backwards, una discreta ballad che fa, in vero, rimpiangere i bei tempi delle varie I Remember You e Home Sweet Home. Nel medesimo campo si posiziona anche Masterpiece, che presenta pure uno stucchevole duetto tra voce femminile e maschile, mettendo in dubbio che i Kissin’ Dynamite suonino davvero hard rock: il bell’assolo non salva un pezzo per il resto privo di ogni spessore.
Il disco alterna alti e bassi. Meritevoli di menzione sono soprattutto She Came She Saw, che scoppia letteralmente in un ritornello semplice ma non banale, e Highlight Zone, che sembrerà pure un outtake degli H.E.A.T. ma almeno ha un minimo di tiro.
Pur dotati di una scrittura discreta e anche di qualche idea fuori dai soliti schemi, i Kissin’ Dynamite devono ancora definire la propria ragion d’essere: farsi assistere da un buon produttore e smettere di provare a giocare il ruolo della prossima pop band di successo effimero potrebbe aiutarli. Ripeto: il materiale c’è, ma va valorizzato nei suoi aspetti migliori, cassando del tutto distrazioni commerciali prive di speranza e sostanza. Generation Goodbye potrà girare qualche volta nelle vostre orecchie, ma a breve finirà nel dimenticatoio, affollatissimo rifugio della mediocrità che ci affligge.