Recensione: Genuine
Curioso, affascinante ma soprattutto ambizioso il progetto “Genuine”, concept album dai contorni elaborati, messo in pista dai nostrani Echotime.
Soggetto ad innumerevoli influenze stilistiche, il debutto del gruppo tricolore si presenta nelle vesti di una complessa opera rock suddivisa in capitoli caratterizzati da un’eccellente abilità compositiva che, unita ad un notevole talento narrativo, si profila quale elemento cardine nel rendere interessante ed al contempo piacevole un prodotto dai risvolti talora “filosofici” e concettualmente impegnativi.
Rock sinfonico, progressive, hard rock, spunti heavy e lievi sfumature industrial, creano il tappeto sonoro ad una vicenda dai tratti cinemotografici in cui – per stessa definizione offerta dai protagonisti – uno scenario dalle avvincenti atmosfere steam-punk, sottende ad un intreccio dai valori metaforici, mediante i quali offrire rappresentazione di una realtà in cui vizio, diseguaglianze ed ipocrisia dominano incontrastate.
Paradigma di un mondo non troppo dissimile da quello attuale, all’interno del quale si muovono personaggi di varia natura ed estrazione, prototipi di una umanità dilaniata da contrasti di potere, interessi economici e decadimento dei valori.
Una storia che si prospetta avvincente insomma, tanto più se fantasiosamente riassunta sulle basi di un genere musicale che gli Echotime amano definire “Cinematic Progressive Metal”.
Ispirati, per loro stessa ammissione, ad importanti esponenti del panorama heavy-prog mondiale quali Dream Theater, Symphony X, Pain Of Salvation, Dio e Circus Maximus, (ai quali ci sentiamo di aggiungere anche gli svedesi Evergrey) i cinque musicisti riescono, in effetti, nell’arduo compito di mettere in scena un universo sonoro composito e multiforme, capace di rendersi accattivante e gradito all’orecchio mantenendosi a debita distanza dal rischio di noiose e stucchevoli divagazioni.
Ricco e molto strutturato negli arrangiamenti, l’album si rivela efficace sin dalle prime battute, mostrandosi agile e diretto, focalizzato sull’obiettivo di apparire scorrevole pur raccontando una storia impegnativa.
L’opener “In The Cage”, preludio all’intricata vicenda, definisce senza possibilità di smentite il taglio inequivocabilmente altolocato della proposta degli Echotime, allineando in modo subito esplicito le influenze citate poc’anzi. Difficile, in effetti, non farsi sorprendere dal pensiero di Symphony X e Circus Maximus nell’approcciarsi ad un brano dai toni magniloquenti, in cui umori cangianti e ritmiche spezzate descrivono immagini da sontuosa opera rock.
Molto bella e funzionale la voce del singer Alex Cangini, sporca ed espressiva tanto da rimembrare un fortunoso incrocio tra Tom Englund e Russell Allen, tra gli elementi che più contribuiscono nel rendere “Genuine” prodotto dal respiro decisamente internazionale e superiore.
Come ogni buon album dall’anima profondamente progressiva, il primo capitolo a firma Echotime riserva poi un serbatoio continuo di sfumature e particolari che si susseguono di ascolto in ascolto, componendo un quadro esaustivo e realmente attendibile solo dopo un buon numero di passaggi.
Ancora presto forse per definirli degni epigoni della grandeur espressa dalle gigantesche band nominate tra le muse ispiratrici. Il talento è tuttavia presente e ben palpabile: sufficiente nel potersene dar conto, anche una prima, rapida valutazione.
Pure all’orecchio meno allenato, non potranno sfuggire la grande cura riservata ai suoni, la professionalità nella confezione degli arrangiamenti e non da ultimo, la ricerca di un songwriting articolato e poliedrico, all’interno del quale poter far confluire tutto l’estro ed il valore dei singoli musicisti.
Ancor più significativo, sarà quindi il soffermarsi su alcuni episodi che, più di altri, esemplificano il raro stato di notevole maturazione artistica già in possesso della band tricolore.
Un paio su tutti: la sontuosa “Breaking The Prayers” e la crepuscolare “In Rebel’s Hand”, dichiarano un livello qualitativo che mal sopporta lo status di band esordiente, sventagliando negli amplificatori una tale compostezza e precisione nel descrivere le atmosfere, gli stati d’animo e le ambientazioni dell’intreccio, tali da apparire degni esclusivamente dei sommi professionisti attivi sulla piazza.
Ma c’è di più: come detto in modo forse meno esplicito, la cosa che colpisce con maggior forza, non è la complessità di suono entro cui i cinque eccellenti musicisti operano, ma è la bellezza propria della musica in se e per se, spesso, gradevolissimo distillato di grande prog metal da “manuale” che nulla invidia a chi, prima di loro, ha saputo spingersi a tali – ottimi – livelli.
Grande musica, tematiche genialmente complesse ed intrecci narrativi efficaci: ce n’è abbastanza per ingolosire ogni prog fan che si rispetti.
Un primo capitolo dunque, che sa di “colpo grosso” e porta alla luce una realtà dai valori straordinariamente elevati.
Convincenti sin dall’esordio, quasi ad auto-investirsi del ruolo di predestinati: qualora tanta grazia dovesse ulteriormente affinarsi e proseguire nell’arco di un altro paio di album, anche l’Italia potrà vantarsi di avere i suoi Circus Maximus…
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