Recensione: Get It Right
Ho ancora davanti agli occhi la copertina del primo, omonimo disco degli Heavens Edge (1990): quindicenne, la guardavo, assieme a tante altre, su uno di quei paginoni promozionali che le case discografiche a quel tempo infilavano dentro agli LP.
Incuriosito, lo ascoltai. Non mi colpì più di tanto: ai tempi non avevo chiaro il perché, ma oggi comprendo che la band mi pareva indecisa sulla propria stessa identità, a cavallo tra hard rock stradaiolo, glam e pure AOR (quelle tastiere!).
A distanza di più di trent’anni da quelle sensazioni, va ammesso che la concorrenza che gli Heavens Edge si trovarono a dover fronteggiare allora era di livello stellare, quasi che quei mesi fossero il canto del cigno prima della morte, suggellata da lì a poco dall’uscita di Nevermind e, quindi, dall’avvento travolgente del grunge.
Gli Heavens Edge avevano, insomma, solo assaporato il ricco profumo del successo che aveva baciato l’hard rock negli anni Ottanta. Originari di Philadelphia, avevano perso il momentum, che invece i loro conterranei Bon Jovi, Cinderella e Skid Row avevano colto in pieno. E, al netto della qualità dei prodotti in questione, se si pensa che il primo disco degli Skid Row uscì solo pochi mesi di Heavens Edge, si può avere un’idea di come quel mondo fatto di capelli gonfi e disimpegno arrabbiato fu travolto velocemente dalle camicie a quadrettoni di Seattle.
Heavens Edge è restato per tutto questo tempo l’unica testimonianza discografica della band, se si esclude una raccolta di demo e rarità uscita nel 1998 (Some Other Place, Some Other Time), quando la band si era ormai sciolta da ben cinque anni. La reunion del 2013, assieme a quella di tante altre band consimili, arriva, infatti, solo ora a realizzare un nuovo disco. Nel frattempo, il bassista originale George G.G. Guidott è venuto a mancare e Jaron Gulino ha preso il suo posto, suonando in questo Get It Right che mi accigno a recensire, un po’ ricordando quell’adolescenza di tanti anni fa. Sì, perché i pezzi di Get It Right, prodotto dalla band stessa, fanno l’effetto di una madeleine, tanto sono capaci di cristallizare l’ascolto nel 1990, riuscendo a non scivolare dal pericoloso crinale che divide la convinzione compositiva dall’operazione nostalgia.
In Get It Right tutto suona esattamente come ve lo immaginereste: e, per una volta, è un pregio. Had Enough o Gone Gone Gone hanno un gran groove, che s’accompagna a melodie che paiono rimaste nella penna degli Heavens Edge per decenni e finalmente possono incarnarsi in canzoni godibilissime, suonate da una band che sembra proprio divertirsi.
Si va avanti così per tutto il disco, senza un momento di vero calo. Ed ecco che Nothing Left But Goodbye ci porta in un gran bel posto dove i Cinderella (qui devvero evocati) e i Tesla s’incontrano: ed è un party divertentissimo a cui partecipano anche i Firehouse.
Con What Could’ve Been siamo sul mid-tempo vagamente malinconico e ben prodotto, impreziosito da un ritornello elegante che si ascolta e riscolta con enorme piacere. When The Lights Go Down allenta ulteriormente il piede sull’acceleratore e regala la classica ballatona da fine decennio che fu, richiamando melodie care agli Extreme.
Con Raise ‘Em Up e 9 Lives (My Immortal Life) si torna a rockeggiare (alla grande). Dirty Little Secrets gode di un ritornellone facile facile, ma tutto sommato efficace, mentre Beautiful Disguise è forse il pezzo meno ispirato del lotto.
Infine, I’m Not The One è una buona canzone, dal refrain che ricordo un po’ i Saigon Kick.
In conclusione, Get It Right mi è piaciuto più di Heavens Edge; ed è un caso quasi unico, considerando come il confronto tra le ultime uscite delle band hard rock degli anni Ottanta e quelle dei tempi d’oro sia generalmente impietoso. Gli Heavens Edge si riprendono oggi il mal tolto di un trentennio fa, riuscendo a risultare più freschi dei se stessi di allora e doppiando a gran velocità le recenti produzioni di nomi ben più altisonanti. Vero: non servirà a niente, non regalerà alla band di Philadelphia il successo che li sfiorò ai tempi, ma per le nostre orecchie è un gran piacere dare il bentornato a chi ci ha accarezzato l’adolescenza alllora e ci alleggerisce l’età adulta oggi.
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