Recensione: Get Over It
“Get Over It” è il decimo album della band tedesca Hartmann, celebrata in madrepatria come uno dei gruppi hardrock contemporanei più influenti.
Un perfetto compagno di viaggio da ascoltare mentre state guidando tra le colline astigiane e dal finestrino abbassato passa quel filo di vento che vi scompiglia i capelli.
Sarà che questo connubio di melodic rock e influenze country si presta bene allo scopo, ma mentre sono al volante mi convinco che questo sia proprio il suo impiego ideale (vedi alla voce track 6. “Just Drive”). Così mi sento tutto un tratto un po’ vintage e rimpiango di non avere lo stereo con il mangianastri.
Oliver Hartmann, musicista pressoché onnipresente nella produzione metal mondiale, memore di tour con Toto, Uriah Heep e House of Lords, mi sussurra dolcemente all’orecchio di Bruce Springsteen, Mr Big e Foreigner.
Passato e presente si scontrano creando un vortice emozionale unico in cui si insinua una leggera vena malinconica bluesy.
L’album apre per la verità con una canzone che non mi convince molto. “Remedy” mi risulta una melodia piuttosto banale, corredata di riff di chitarra ritmica altrettanto ripetitivo, ma si riprende praticamente subito a partire da “One Step Behind” che ha un bellissimo effetto nostalgia che colpisce al cuore e riesce a coinvolgere l’ascoltatore fin dalle prime note.
La voce di Oliver è dannatamente cristallina, ma al contempo riesce a risultare “vissuta”.
Un incredibile elemento distintivo che lo rende perfettamente riconoscibile in ogni registrazione, come una firma sonora unica. Ad essa si aggiunge il “canto” avvolgente della chitarra di Mario Reck ed un ottimo lavoro di supporto ritmico dato da Markus Kullmann alla batteria, che arriva sempre puntuale a dare un valido riempimento e supporto là dove ce n’è bisogno.
“What you give is what you get” è una perfetta canzone che incarna il mood di fine anni ’80 con un messaggio forte e coerente alle spalle, riff di chitarra sempre carichi e un ritornello che non te lo levi dalla testa nemmeno se provano a farti il lavaggio del cervello.
“The Movie’s End” ha molto carattere e meglio evidenzia le capacità vocali di Oliver con la sua voce forte, indomita e cupa allo stesso tempo. Ma è soprattutto in “The Gun” che da prova anche delle sue doti da songwriter, con una melodia rock-blues con un sapore un po’ più irriverente, dato da questa chitarra ammutinata e indomabile che riprende un po’ la storia del ragazzo di cui racconta.
Non mancano però le ballad sentimentali: “Stay true to me”, “Can’t keep away from you” e “In another life” con qualche coretto d’atmosfera che si apre poi in un ritornello sentito e carico. E una title-track “Get Over It” che risulta originale per questa intro quasi “arabeggiante”, molto compatta e coesa nelle varie parti, soprattutto le due chitarre che sembrano ruotare l’una attorno all’ altra, ma che tende ad articolarsi verso una soluzione molto scontata, un lieto finale da film prevedibile.
“When we were the young” è solare e armoniosa, sembra un po’ il racconto di bei tempi andati ed è una perfetta chiusura ad un album memorabile.
Gli Hartmann si confermano per l’ennesima volta incredibilmente sul pezzo, dimostrando a diciassette anni dal debutto (2005) di continuare a produrre ottima musica, densa di significato e valore, continuando ad incantare il proprio pubblico e conquistando nuovi fan tra le fila di un rock più maturo, alla “Gary Moore”.
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