Recensione: Ghost And The Wiseman
Dieci anni di attività underground hanno il loro peso, e si fanno sentire. Si fanno sentire nella ricercatezza compositiva, nella perizia dell’esecuzione, nella cura dei particolari e in un altro tot di cose che al primo ascolto ti fanno pensare di non essere al cospetto di un gruppo di esordienti.
E così non é, perché é proprio con questo “Ghost And The Wiseman” che i lombardi Komaday esordiscono in formato full-length, e lo fanno con tutti i crismi del caso.
La band propone un’indecifrabile interpretazione di un tipo di prog-metal difficilmente riconducibile a correnti, periodi e men che meno ad altri gruppi, più o meno noti.
Questa é a mio giudizio la chiave di lettura di questo bel disco: una fortissima personalità, un continuo debordare in altri generi e il coraggio di osare direzioni perlomeno diverse dagli standard odierni.
Sette brani di durata variabile tra i 4 e i 9 minuti propongono una considerevole varietà di atmosfere, un ragionato (a volte anche troppo) alternarsi di situazioni, apprezzabile fantasia, del gran gusto e una buona scorrevolezza.
Se non sbaglio la band nacque sotto il segno del thrash il cui approccio si manifesta ancora soprattutto in alcune ritmiche di batteria e riff di chitarra.
Le divisioni sono spesso fuori dal patetico quattro-quarti del power (grazie!), le soluzioni prog non sono troppo ostentate sul versante armonico (ancora grazie!) e il concetto di canzone é sempre ben saldo lungo tutto il corso dell’album.
Spesso gli arrangiamenti raccolgono l’impronta rock, a volte abbracciano l’heavy più classico, occasionalmente lambiscono l’esile confine tra prog e fusion.
In generale l’album é molto solido, l’ottima performance strumentale lo fa apprezzare appieno; non si colgono sbavature di sorta, e l’offerta musicale nel suo complesso é corposa e ben illuminata da suoni di ottimo livello, direi superiori alla media.
Il versante su cui però mi sarei aspettato di più riguarda la voce che non mi ha coinvolto quanto gli altri strumenti, forse a causa di linee melodiche molto lineari. Niente da dire sull’esecuzione, fa il suo bel compitino senza problemi ma paradossalmente mi convince di più nelle parti più aggressive che in quelle in cui dovrebbe dare melodia ed emozionare. degustibus…
Da amante degli smanettoni avrei gradito anche qualche assolo di chitarra in più, le chitarre mostrano gusto, fantasia e non poca classe, e qualche altro solo avrebbe messo la ciliegina su una torta in cui anche batteria e basso dicono la loro con perizia e autorevolezza.
L’album é molto suonato e quindi la produzione tende ad evidenziare questa impostazione, senza troppi fronzoli e con un bell’equilibrio tra i singoli strumenti.
In conclusione non resta che dare il benvenuto ad un’altra band di ottimo livello tecnico-artistico, a maggior ragione perché sono italiani (e con nomi italiani) e perché esordiscono con un lavoro di tutto rispetto, coraggiosamente estraneo ai trend commerciali del momento. Avanti così.
Track listing:
1. Spirits In The Temple (The Temple Part 2)
2. rendez-vous
3. On My Own
4. Early Years
5. Ancient Lore
6. Transparency
7. A Personal Tragedy