Recensione: Ghost Light
Gli Old Night sono ormai una delle realtà più interessanti della scena doom metal europea, c’è poco da fare. E se per qualche strano motivo non vi foste imbattuti in “Pale Cold Irrelevance” e “A Fracture in the Human Soul”, le prime due opere del combo di Rjieka, il nuovo “Ghost Light”, album che ci troviamo a curare in queste righe, non deve assolutamente sfuggirvi. Sì, perché con gli Old Night ci troviamo al cospetto di una formazione caratterizzata da una grande caratura artistica che, affinata nel corso degli anni, raggiunge in “Ghost Light” un’espressività e un’identità unica, propria dei grandi nomi.
“Ghost Light” è forse il capitolo della definitiva maturità degli Old Night, che si dimostrano pronti a spiccare il volo verso le vette più elevate dell’olimpo del metallo europeo. Con “Ghost Light” la formazione capitanata dal talentuoso bassista Luka Petrović continua nel proprio percorso atto a unire musica e sentimenti, quelli più intimi, nascosti, che solitamente tendiamo a svelare solo quando siamo in compagnia di noi stessi. Come da tradizione in casa Old Night, anche nel nuovo lavoro la pesantezza propria del doom viene “alleggerita” da una cura maniacale per le melodie, che tendono a descrivere emozioni, dubbi e paure proprie dell’animo umano. Questo aspetto, però, raggiunge in “Ghost Light” una dimensione che mai prima i Nostri erano riusciti a toccare. Basta ascoltare la splendida ‘Sacred South’ per rendersene conto, una canzone che si rivela un vero e proprio viaggio fatto di emozioni, riscoperta di noi stessi e di ciò che ci circonda. Questa è forse la descrizione migliore del disco: la perfetta colonna sonora per un viaggio alla riscoperta di noi stessi, sia come singoli individui, che come entità facente parte di una dimensione, di un universo dotato di equilibri propri, al cui interno, assieme a noi, vivono altre entità, energie diverse dalle nostre ma con cui dobbiamo cercare e trovare la perfetta armonia. “Ghost Light” si rivela in questo modo un’autentica esperienza. Basta chiudere gli occhi e iniziarne l’ascolto per ritrovarsi nel bel mezzo di un bosco, d’inverno. Gli alberi spogli, scheletrici, il silenzio attorno a noi. Il terreno è ricoperto di foglie, il cui crepitio va a scandire il suono dei nostri passi. Veniamo catturati e trasportati in una dimensione parallela, visionaria, in cui le nostre emozioni e paure prendono il sopravvento, cullati e accarezzati da delle melodie ammalianti, ma fredde come il gelo invernale. I colori attorno a noi diventano cupi ed esprimono alla perfezione le atmosfere del disco e le sensazioni che da esso riceviamo. Tutti questi aspetti vengono inoltre ben rappresentati dall’onirica copertina, realizzata anche questa volta da All Things Rotten.
“Ghost Light”, insomma, si esprime su livelli elevatissimi, un’opera che non conosce punti deboli. Il disco ruota attorno al lavoro maniacale delle chitarre, pronte a regalare pesantezza e melodia, quella melodia decadente, desolante, che abbiamo descritto in precedenza. La sezione ritmica è tutta in funzione della struttura canzone e ne scandisce ogni singola atmosfera, ogni singola sfumatura. E come non citare i testi, profondi e carichi di significato, interpretati con espressività e teatralità dal bravissimo Matej Hanžek. Altro punto a favore del disco è poi la produzione, potente e cristallina, in grado di valorizzare ogni singolo strumento. “Ghost Light” non è un semplice disco doom, è pura arte, è musica senza confini e paraocchi. Credo non serva aggiungere altro per capire che ci troviamo al cospetto di un lavoro in grado di lasciare il segno e far parlare di sé, a lungo. Un album che ha tutte le carte in regola per entrare nelle classifiche di fine anno tra i migliori lavori di questo 2022. Se non si fosse ancora capito, “Ghost Light” è un disco da avere. Non fatevelo scappare.
Marco Donè