Recensione: Ghost of Graceland
Spartiti sbagliati
Da qualche parte si nasconde uno spartito con una successione di note a comporre melodie scialbe, imbruttite dallo scorrere del tempo, appesantite dall’impietosa lotta contro il destino. Su quelle pagine finiscono con tutta probabilità la combinazione di note mai suonate dai Treat, lì si deve ricercare il segreto dell’eterna giovinezza svedese…
…quel segreto si mimetizza anche in un’alchimia speciale? Infatti quando “I Ragazzi” annoverano nelle proprie fila Wikström e Ernlund sono capaci di comporre album di mirabile bellezza tra i quali ad esempio “Coup de Grace” (2010) malgrado fossero trascorsi ben 21 anni da un altro capolavoro, quell’ “Organized Crime”, in grado di elevare qualitativamente un genere. Il rock melodico dei Treat però non ha mai trovato un riconoscimento adeguato in termini di pubblico, perché schiacciato anche dal peso ingombrante dei compatrioti Europe (basti pensare che rilasciarono nel 1986 uno dei loro migliori album intitolato “The Pleasure Principle” oscurato però nelle classifiche da “The Final Countdown” degli Europe appunto, uno degli album più venduti di sempre da una band svedese). Così non è facile sopravvivere all’ombra della fama altrui e nel tardo 1990 Ernlund lascia il gruppo. L’avventura iniziata dai Treat nel 1985 sembra terminare nel 1992 dopo un album ononimo non riuscito che vedeva alla voce Mats Levén (attualmente in forza ai Candlemass), infatti i Treat si scioglieranno.
Eppure i Treat ritornano perché quello spartito abbandonato possa tornare a infestarsi di note sbagliate e il loro “Coup de Grace” del 2010 è esempio ultimo del loro canone musicale in equilibrio mirabile tra eleganza armonica, cori sfavillanti e un’energia deflagrante in partiture rock colorate da melodie rilucenti. A distanza di sei anni dall’ultimo lavoro ci troviamo di fronte ad una formazione simile: oltre ai già citati Wikström (chitarra) e Ernlund (voce), abbiamo alle tastiere Appelgren e Borger alla batteria. Simile perché in realtà al basso viene arruolato Pontus Egberg (King Diamond e Lion’s Share) a sostituire Fredrik Thomander in formazione fino al 2013 (in realtà nella formazione di “Coupe de Grace” vi era Nalle Pahlsson al basso). Non rimane che tornare ai nostri giorni e leggere gli spartiti della nuova creatura dei Treat battezzata “Ghost of Graceland”.
Dentro Graceland
Come se il vento spalancasse una finestra…ci investe la title-track volteggiando in riff eleganti a introdurre la voce di Ernlund per questionare ed incantarci con quel mood epico in dialogo tra rock, ricami di tastiera e arrangiamenti orchestrali…il cielo è quieto e mi pare decisamente più bello che mai…la costruzione della prima traccia indica che qualcosa si è spostato: i suoni saturano meno le distorsioni ammantandosi di una patina di modernità, nella partiture ora si lascia più spazio all’insieme, c’è poi una forte prevalenza di melodie marcate. Se volete un altro esempio di questa costruzione saltiamo pure alla quarta traccia ‘Do You own your Stunts’ in cui i Treat disegnano ancora una bellissima melodia innestata in partiture di rock melodico che però stavota irimanda in maniera vistosa ai Def Leppard.
I Treat sono sempre stati maestri nel farti entrarre con estrema facilità nel loro mondo musicale, però nei precedenti album la melodia sembrava ingenerarsi dall’hard rock, ora le linee vocali acquisiscono un ruolo predominante. Così quando ti ritrovi ad ascoltare la seconda traccia ‘Don’t Miss the Misery’ tutto sembrerebbe tornare alla normalità; i riff si sporcano, sfrigolano quindi appare la voce di Ernlund per innescare una melodia che ricorda gli Harem Scarem, ma non funziona del tutto, quasi fosse spezzata tra il rock e l’AOR.
…così ci ritroviamo ad allontanarci a tutto a gas, attraversando rapidi un cancello in ferro battuto a tema musicale… e non rimane altro che lasciarci trasportare da un brano solare, composto da pura energia. Non è poi la spinta gravitazionale a incollarci alla poltrona, ma ‘Better the Devil you Know’ perché se la linea vocale è da urlo, i fraseggi di Appelgren e Wikström sono roba da infrazione del codice stradale. Metteci pure Pontus che al basso imperversa…come nulla fosse ti trovi dentro a ‘Endangered’ con il suo arpeggio da duello senza tempo diviene intro da corsa a dare il via al resto: cori a perdi fiato, riff e fraseggi costruiti per farsi piacere di certo, ma allo stesso tempo ci rimandano ai Def Leppard cosi come in ‘Alien Earthlings’ il cui coro deflagrante rimanda anche ai Winger, ma il brano comunque brilla in un dialogo mirabile con i riff di chitarra e le pennellate di tastiera di Appelgren. Se abbiamo appena affrontato una dolce curva ora acceleriamo selvaggi in un due lampi rock alla Treat: la rockeggiante ‘Too late to Die Young’ e ‘House on Fire’ con quel fantastico assolo di tastiera a divampare in un AOR infuocato. L’unico rallentamento voluto è in quella ‘Together Alone’ cantata da niente meno che Wikström. Note di piano leggiadre ricolme di grazia ci accompagnano in una melodia dall’epica astrale che rivolgendosi verso terra trafigge il cuore dell’ascoltatore.
Ritorno a Graceland (o forse non ci siamo mai allontanati)
Proprio così. “Ghost of Graceland” trafigge l’ascoltatore sin dal primo ascolto. Se rivolgiamo i nostri pensieri al recente passato riscontriamo, una maggiore propensione alla melodia, alle linee vocali; così i cori si fanno spazio sino a spostare il baricentro di buona parte delle composizioni. Gli spartiti sono davvero belli, le melodie sembrano essere lì da tempo e persino quando i Treat si lanciano in un coro dal mood pop in ‘Inferno’ con chitarre sincopate alla AC/DC non cedono un millimetro, anzi evidenziano un altro pregio di quest’ultimo lavoro: la varietà, mai fine a sé stessa. I suoni possono non piacere per il loro taglio modernista e in fondo dovendo dare più spazio alle linee vocali, le distorsioni rimangono un passo indietro come la batteria di Borger. Scelte quest’ultime che a prescindere dai gusti sono in realtà funzionali all’insieme.
Meno convincenti alcuni brani di maniera, che pur mantendosi su livelli più che buoni restituiscono un senso di deja-vu, forse evitabile (oltre a quelle già citate inserirei anche ‘Everything to Everyone’). In ogni caso “Ghost of Graceland” rimane un ottimo album, qualcosa di ben al di sopra la media e che si (ri)ascolta con infinito piacere.
MARCO GIONO