Recensione: Giants, Demons And Flocks Of Sheep
E giunse il momento del terzo disco anche per i romani The Orange Man Theory.
A distanza di cinque anni dal precedente “Satan told me I’m Right”, ecco arrivare come un fulmine a ciel sereno “Giants, Demons and Flocks of Sheep”.
Dieci anni di attività, tre Full Lenght, due EP e una miriade di concerti in giro per il mondo a spaccarsi le ossa e a guadagnarsi il rispetto di tutti, a partire da un guru come Steve Austin che li ha da tempo presi sotto la propria ala protettrice. Né il tempo, né tantomeno la defezione dello storico cantante Gianni Serusi hanno scalfito minimamente la furia iconoclasta del quartetto capitolino, anzi con l’innesto di Giorgio Cifuni dietro al microfono sembrano aver acquisito nuova linfa distruttiva.
Vai quindi di selvaggio Grindcore sporcato da spruzzi di sludge, death n’roll e da insperate puntate verso il suono più cervellotico di band come The Dillinger Escape Plan, una trovata stilistica assolutamente naturale e mai forzata che riesce a rendere vari i pezzi del disco e a farlo scendere giù come una “salutare” dose di whiskey doppio. Ottima la prestazione di tutti e quattro i ragazzi, ma meritano senz’altro una citazione di merito Tommaso Moretti alla batteria (da tempo non si ascoltava una prestazione tanto distruttiva quanto precisa) e il già citato Cifuni, straordinario nel suo screaming incessante e interpretativo.
La produzione, per quanto rientrante perfettamente nei canoni del genere, risulta forse un po’ troppo orientata verso il basso imbracciato da Marco Mastroburono, togliendo quindi respiro alla chitarra di Gabriele Giaccari. Si tratta comunque di quisquiglie che non tolgono il piacere di ascoltare un CD che va digerito in una sola volta.
Se è riuscito a colpire me che non sono propriamente un cultore del Grind/Hardcore, non oso immaginare gli sconquassi che può causare a chi invece con tali ruvidità va a nozze.
L’Italia che sa farsi valere.
Matteo Di Leo
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