Recensione: Glare of Deliverance
“Glare of Deliverance”, terzo full-length dei Genus Ordinis Dei. Un album ambizioso già nella sua struttura: trattasi, infatti, di una serie di dieci singole canzoni, ciascuna con il proprio video / episodio musicale. Episodi che si combinano in sequenza a mò di cortometraggio o serie televisiva, che raccontano la storia di Eleanor, una giovane donna perseguitata dalla Santa Inquisizione.
Un tocco cinematografico, dovuto all’artista visuale Tom Roberts (Ghost), che impreziosisce il tutto e aiuta a entrare letteralmente nel disco. Disco, occorre subito evidenziarlo, di notevole spessore tecnico / artistico. Disco di purissimo symphonic death metal, uno stile i cui padroni fondatori bisogna cercarli nelle desolate terre del Nord Europa. Disco italiano. Al 100%. Il che non può che far piacere, poiché i Genus Ordinis Dei, con esso, innalzano in modo clamoroso l’asticella della qualità musicale tutta.
Musica potentissima, piena, corposa. Ma, attenzione, anche aggressiva, arcigna, dotata di un mood cupo, oscuro; tipico, non a caso, del periodo storico sopra citato. Spettacolari orchestrazioni (Tommaso (Tommy) Monticelli) orlano, s’insinuano, trapassano da parte a parte un sound di per sé già possente. Grazie alla successione di riff crudi, granitici, generati dalle chitarre (Niccolò (Nick K’) Cadregari, assieme allo stesso Monticelli) che paiono segare le ossa così com’era capace la Chiesa Cattolica in quell’arco temporale così buio e moralmente involuto, in cui la gente bruciava sulle pire a centinaia di migliaia esattamente come Eleanor (‘Fire’).
L’imperioso basso di Steven F. Olda effettua un vero e proprio bombardamento a tappeto, esaltando parecchio le tonalità più basse per riempire quanto più possibile un sound assolutamente caratteristico, riconoscibile. Il quale viene fissato nell’etere dai violenti, nerboruti colpi della batteria di Richard Meiz, un vero picchiaduro che si muove assieme alla lancetta del metronomo.
Nella selva i cui alberi corrispondono agli act che praticano fogge musicali similari, i Nostri riescono a emergere grazie a una combinazioni di fattori, la maggior parte dei quali sono appena stati evidenziati. In ultimo, ma non ultimo, la bravura di Cadregari quale vocalist versatile, dal carattere assai deciso. Particolarmente bravo con il growling che, dalla sua gola, sgorga in modo naturale, risultando per ciò davvero pauroso e perfettamente idoneo a trattare con cattiveria le linee vocali dei vari brani.
La serietà, passione e professionalità che i Genus Ordini Dei hanno profuso in “Glare of Deliverance” è davvero tanta. Fra le altre cose, si deve anche sottolineare che la durata complessiva del platter supera un’ora e dieci minuti. Il che non sarebbe un parametro valido se non fosse che tutto il tempo a disposizione è stato utilizzato al massimo delle possibilità di una scrittura corposa, complessa ma anche semplice, a volte. Come nella… hit ‘Examination’, traccia semplicemente fantastica per via del suo incedere maestoso, del suo ritmo sì abbattere un muraglione in pietra, della sua inconsueta melodiosità che, quasi incredibilmente, si stampa nella scatola cranica sin dal primo ascolto. Il cui incipit e le cui parti narrate sono in italiano, lingua ideale per raffigurare con orrida visionarietà le tematiche affrontate nella parte testuale del disco.
Chiaramente non è soltanto ‘Examination’ a farsi notare, giacché tutte le tracce dell’LP hanno qualcosa di particolare da renderle tutte interessanti, fra inserti ambient e segmenti di musica medievale. Compresa la già menzionata, grandiosa suite finale, ‘Fire‘, rappresentante l’epilogo dettato da una sempiterna sete di potere e da un’ignoranza umana senza fine. Una suite complessa nel suo essere, in cui il clamoroso talento compositivo dei Genus Ordi Dei può sfogarsi a 360° entro gli ampi limiti di uno stile assolutamente personale, fortemente indicativo del marchio di fabbrica di un gruppo che stenta, quasi, a trattenersi, addirittura, per far rientrare “Glare of Deliverance” entro i limiti imposti dal mercato discografico specificamente metal ma non solo.
Alla fine una domanda sorge spontanea: «Perché cercare altrove e non in Italia ciò che di meglio ci sia nel cerchio del symphonic death metal?». La risposta ai posteri…
In una parola, comunque, impressionanti.
Daniele “dani66” D’Adamo