Recensione: Gloom Immemorial
Devo confessare che appena ho premuto il tasto play per ascoltare questa compilation di brani, subito, per associazione, mi sono trovato a provare la sensazione di essere catapultato indietro nel tempo. E, soprattutto, in compagnia di un certo qual modo di “essere” e di “fare musica” a cui, chi frequenta gli ambiti del genere “estremo”, immagino sia avvezzo.
Parlo di una certa impostazione artistica che recupera le radici più grezze e brutali del Death Metal (quelle delle chitarre “a motosega”, per intenderci), definiamole pure chiaramente “seminali”, le maneggia poi (ma sarebbe meglio dire che le “violenta”), e, per rendere il tutto ancora più immerso nel putridume sonoro e atmosferico (viste pure le tematiche trattate, prettamente e rigorosamente Horror), le rallenta e di molto. Creando così macigni sonori il cui compito principale è quello di trasportare (ma sarebbe meglio dire, “spintonare”) chi ascolta in un pozzo dal buio assoluto e senza fondo. Dove l’olfatto percepisce miasmi di escrescenze da decomposizione di materia organica e dove esseri antropomorfi, torturati, dalle membra spezzate, dagli occhi e dalla lingua strappati, vagano incessantemente attraverso angusti, labirintici e interminabili cunicoli, avendo la sola forza di un lamento gutturale, dal profondo delle loro straziate corde vocali: proprio quello, insomma, degli Hooded Menace.
Ecco. Questo è il riassunto di quanto questa band rappresenta. Non sono i soli, però.
All’inizio ho scritto della sensazione di “essere catapultati indietro nel tempo” e di un certo qual modo di “essere e fare musica” e, per l’appunto, quello di questa band finlandese, ha molto in comune con band di assoluto culto per la scena Death/Doom. Parlo di gente come Asphyx, Autopsy, Grave; ovvero, proprio di quei gruppi “seminali” che al Death metal hanno dato un’impostazione “diversa”, utilizzando inserti, più o meno specifici a seconda della loro sensibilità, di matrice Doom. E non lo hanno fatto di certo per esigenze di epicità, lirismo o ispirazione! Niente di tutto questo! Lo hanno fatto, perché così la loro proposta risultasse più cattiva, raccapricciante e insopportabile.
Gli Hooded Menace quindi, capitanati dal sempre vulcanico (e indaffaratissimo diremmo; vista la quantità di dischi, split, EP, ecc. che la sua band ha fatto uscire dal 2007 ad oggi) Lasse Pyykkö, se possibile, appesantiscono ancora di più l’assioma secondo il quale “più lento vuol dire più putrido” e tutti i brani di questa compilation lo stanno a dimostrare, comprendendo le canzoni composte, ad esempio, negli split con band come i già citati Asphyx (“Abode of the Grotesque”), Coffins (“The Haunted Ossuary”), Ilsa (“Catacombs of the Graceless”) e Horse Latitudes (“Instruments of Eternal Damnation”) o cover di pregio rivisitate in chiave “mortuaria”, come la strumentale, molto ipnotica e coinvolgente, “A Decay of Mind and Flesh”, composta in origine dagli Anima Morte, band svedese di rock a tema orrorifico con molto a che spartire coi Goblin.
Il risultato finale, per quanto mi riguarda, è qualcosa che risulta essere molto omogeneo e lineare nel suo “pachidermico” incedere: chitarre sempre “segaossa”, growl sempre molto profondo e marziale che, seppure non troppo originale, riesce bene nell’intento di sembrare catacombale al punto giusto, tanto da donare uno spunto in più ai brani. Tempi ritmici che non si discostano mai dal pesante/pesantissimo schiacciasassi, con, ad esempio, “The Creeping Flesh”, dove l’inizio è addirittura agghiacciante nella sua cadenza.
Tutto quanto è ben organizzato, preciso e mai confusionario, anche nella produzione, non fosse però che alla fine, dopo 75 minuti su questo registro, forse l’insieme tende a diventare un po’ troppo monocorde, quasi scontato per certi versi.
Intendiamoci però: gli Hooded Menace sono musicisti di prim’ordine, e quello che fanno, lo sanno fare dannatamente bene; lo stanno a dimostrare, d’altronde, gli assolo chitarristici sparpagliati, qui e là, per i brani (bellissimo quello piazzato a quasi sette minuti della finale “Monuments of Misery”, sostenuto, oltretutto, da una base davvero tosta), o l’ottima prova batteristica di Pekka Koskelo, il cui missaggio lo pone sempre bene in evidenza.
C’è poi da tener conto che, oltretutto, la musica di questa band è palesemente Doom, che dal Death pesca solo quanto possa renderla più “raw” nel suono e nell’attitudine, implicando perciò che servano diversi ascolti per essere assimilata. Però la sensazione, quasi fastidiosa, che l’ipnotismo di certe formule compositive sia studiato per camuffare una certa qual timidezza, o quantomeno, “comodità” nel rimanere lungo sentieri già ben rodati e calpestati, rimane addosso. Quindi, infine, mi sento di consigliare questa compilation certamente agli amanti della commistione tra i due generi cardine che reggono la carriera degli Hooded Menace. A tutti gli altri, invece, suggerisco cautela nell’ascolto (magari un poco alla volta sarebbe meglio, in questo caso), e soprattutto, assenza di superficialità nel giudizio, perché, come tanti fan sanno, questi musicisti di stoffa ne hanno e tanti anni di carriera lo stanno a dimostrare.
Francesco “Caleb” Papaleo