Recensione: Gnosis
Era il lontano 1987 quando misi per la prima volta sul piatto “Scream Bloody Gore” dei Death, il primo vero album di Death Metal. Difatti, anche se già nel 1985 alcuni gruppi, ispirati principalmente dal sound degli Slayer, estremizzavano ulteriormente il Thrash Metal, brutalizzando suoni e voci, come ad esempio, i Possessed con “Seven Churches” ed i Sepultura con “Morbid Visions”, fu la genialità del compianto Chuck Shuldiner (leader, singer e compositore dei Death) a concretizzarne definitivamente lo stile.
Negli anni ’90, a causa dei mutamenti musicali dell’epoca, la maggior parte dei gruppi Thrash cambiò il proprio modo di comporre, diminuendo la velocità dei brani, che distingueva il genere, a favore di sonorità più cadenzate. Pochi furono quelli che portarono avanti il movimento, mentre molte band addirittura si sciolsero. Per una decina d’anni sembrò tutto sul punto di finire; poi, con l’inizio del nuovo millennio, il genere ebbe una nuova spinta in avanti e molti gruppi si riformarono e tornarono nuovamente ad incidere. Certo, da allora di vere novità quasi non ce ne sono state (a parte la perdita dei capelli di molti artisti), ma non importa, il Thrash era tornato ed è tutt’ora ben radicato. Il Death Metal, invece, si è evoluto e trasformato, plasmando ulteriori sotto generi grazie all’eclettismo dei suoi musicisti, soprattutto di quelli provenienti dalla penisola scandinava. Anche l’Italia ha fatto la sua parte e molte sono le band, sia Thrash che Death Metal, che hanno dimostrato forte coerenza e personalità oltre, naturalmente, ad una buona preparazione musicale e compositiva. Parliamo di Bulldozer, Extrema, Necrodeath, Sadist e Detestor, tra i tanti che hanno contribuito ad allargare la scena europea. Purtroppo, però i produttori italiani non hanno mai creduto nell’Heavy Metal, tantomeno nei suoi derivati più estremi, facendolo restare un prodotto di nicchia. “Il Grido Disperato di Mille Bands” cantava Pino Scotto nel 1992, quando pubblicava il suo primo album solista, proprio per sottolineare tale realtà. Realtà che, oggi, può dirsi tale e quale; certo la tecnologia aiuta: i gruppi hanno maggiore visibilità grazie ad internet e possono arrivare ad autoprodurre il proprio album.
Nonostante questo, il Metal, in Italia, continua a vivere nel sottobosco underground, muovendosi soprattutto nei locali dove, in cambio di qualche birra, lasciano suonare dal vivo o, se va bene, facendo da apripista ai concerti dei gruppi stranieri. E’ praticamente impossibile che una band riesca a trasformare la sua passione nel proprio lavoro, per quanta gavetta faccia e per quanto pubblico riesca ad attirare. E’ in questo contesto che gli Psycho Scream autoproducono il loro primo full-lenght “Gnosis”.
Proveniente dalla provincia di Reggio Emilia, il gruppo nasce del 2009, ma è nel 2014 che stabilizza la sua formazione, composta da Matteo alla voce, Claudio e Pato alle chitarre, Cosimo al basso e Bob alla batteria. Metto il CD nel lettore e comincio ad ascoltarlo una prima volta, poi una seconda ed ancora una terza, provando forti emozioni ogni volta diverse, tanto l’album è forte ed intriso di dense sfumature. Per me è come tornare al 1987, quando ho dovuto “capire” il talento Chuck Shuldiner prima di apprezzarlo.
Di avere talento gli Psycho Scream lo hanno dimostrato producendo un lavoro, magari non originalissimo, ma di buona qualità, composto da dieci canzoni tutte di pari livello, che onorano particolarmente il Thrash ed il Death Metal delle origini. Due qualità accumunano i componenti: una forte passione per il Thrash–Death Metal, già evidente leggendo la loro storia, ed una buona preparazione musicale e compositiva. Facendosi conoscere da subito, senza l’uso di intro maestose od acustiche, gli Psycho Scream sono diretti, senza mezzi termini per tutto l’album che è contraddistinto soprattutto dalla potenza che si eleva da ogni brano e dalla velocità che varia d’intensità, passando da quella tipica del Thrash Bay Area a quella estrema, più caratteristica dell’hardcore.
Matteo canta con passione in “growl”. Devo dire che non sono un grande fan di tale metodo, soprattutto all’inizio ritenevo la “voce urlata” un sistema usato dai singers per nascondere i propri difetti, ma tale modo di cantare si è evoluto ed è diventato una tecnica vera e propria che bisogna prima imparare e poi coltivare con grande esercizio per evitare di “bruciarsi” le corde vocali in breve tempo. Indubbiamente Matteo questa tecnica la conosce e la sa usare bene, soprattutto, canta e non parla, come fanno tanti suoi colleghi, ed interpreta i brani rimanendo su toni che, se pur carichi di rabbia, come devono essere, non sono mai esasperati.
Potentissime sono le sezioni ritmiche, sia durante le fasi veloci sia quando i ritmi sono più cadenzati. Le canzoni, tutte composte dal combo, sono ben arrangiate, con i cambi di tempo coerentemente alternati ed i soli, carichi di energia, sono inseriti al punto giusto e ben integrati nei pezzi.
Le tracce che preferisco sono “Human”, che inizia in chiave Metal con le Twin guitars in evidenza e con un favoloso improvviso intermezzo acustico e “Terrorist”, brano cadenzato con chiari riferimenti ai momenti terribili che il mondo sta vivendo. Tutti i brani sono da ascoltare, in particolar modo la strumentale “Stream of Consciousness” che dimostra la padronanza che la band ha nel suonare la propria musica. Non me ne vogliano gli Psycho Scream se l’unica nota negativa la pongo sul modo in cui concludono la maggior parte della canzoni, ossia come se, ad un certo punto, semplicemente, smettessero di suonarle. A mio parere la fine di un pezzo è importante quanto la canzone stessa e deve essere arrangiataa in modo che l’ascoltatore capisca che questa sta per finire e si goda anche tale momento. Avrei anche preferito un maggiore protagonismo del basso e della batteria, in quanto risultano un po’ oscurati dalla grande parte ritmica svolta dalle chitarre. A parte ciò, si tratta sicuramente di un buon album, che mi auguro sia il primo di tanti e che consiglio a tutti di ascoltare, non solo ai fans del Metal estremo, ma anche a quelli di stampo più classico.
Gli Psycho Scream hanno dimostrato, con “Gnosis”, che l’Italia, in fatto di Metal (non importa il genere), non è seconda a nessuno. Gli ultimi complimenti vanno a Chiara Rovesti, che ha disegnato la cover: i pianeti del nostro sistema solare che ruotano intorno ad uomo primitivo che, presumo, riprenda il significato del titolo dell’album. Brava!
Andrea Bacigalupo