Recensione: Goatmetal
Dopo otto lunghi anni di silenzio tornano gli Infernal Goat, gruppo nativo di Sassari, che propone un black metal molto attaccato alle radici della prima ondata: produzione sporca e spartana, violenza e pochi fronzoli. L’album di esprime nei suoi quasi 45 minuti di durata e in tutta la furia del quintetto isolano. L’album non cerca eccessive articolazioni, anzi, rimane abbastanza statico nella struttura compositiva, fatta eccezione per qualche episodio sporadico qua e là. La opener è la traccia più lunga del lotto, ma non dà particolari motivi per cui essa debba superare i 10 minuti di durata, infatti nonostante si faccia ascoltare tranquillamente (come del resto tutto l’album) non lascia all’ascoltatore la sensazione di aver appena provato un brano particolarmente rimarchevole. La fruizione dell’opera si muove lungo una linea di gradimento stabile, che lo rende apprezzabile, ma mai con quel guizzo che motiva un ascolto reiterato. Nella maggior parte dei casi si cerca di dare un po’ di varietà all’ascolto tramite cambi di ritmo, che però (come spesso accade) non bastano a compensare una mancanza di ispirazione nel riffing, che rende inevitabilmente l’album abbastanza piatto nel complesso. “Antichrist and gasmask” desta sicuramente l’attenzione dell’ascoltatore, grazie a ritmiche incalzanti e ad un assolo abbastanza inaspettato, che dona personalità al brano e lo rende riconoscibile, spezzando un ascolto che fino a quel punto non risulta sgradevole, ma neanche accattivante. L’episodio più rimarchevole dell’opera è sicuramente “Eye behind the wall”, pezzo vario sia nelle ritmiche che nel riffing, trascinante e d’impatto.
Gli Infernal Goat tornano e lo fanno in modo positivo, ma non col botto. “Goatmetal” si lascia ascoltare senza patemi, ma manca del carattere dei grandi ritorni, portando l’identità di un omaggio alla vecchia scuola che sicuramente farà piacere ai fan del black metal più grezzo.