Recensione: God’s Army A.D.
Una copertina essenziale ma efficace anticipa il primo lavoro omonimo orchestrato dai teutonici God’s Army A.D..
Guidati dalla graffiante ugola del bravo John A.B.C Smith, i nostri danno libero sfogo a tutta la carica distruttiva del Metal più diretto e granitico, allestendo un’opera semplice e tecnicamente impeccabile, completata da una produzione asciutta e moderna che pone in evidenza le buone abilità dei singoli musicisti.
Fin dai primi istanti della potente “The World That Never Was”, il gruppo dimostra come la semplicità sia una delle caratteristiche principali del proprio stile compositivo: un riff serrato e tagliente si pone a spina dorsale di un brano breve ma accattivante, contraddistinto da un coro melodico ed orecchiabile, sorretto infine da una sezione ritmica dinamica e precisa, affidata al lavoro di basso svolto dallo stesso Johm A.B.C Smith e al drumming del batterista Mark Cross (noto per gli illustri trascorsi con Firewind, Tainted Nation, Outloud, Metalium e mille altri) per una partenza lineare ma piuttosto riuscita.
Mantenendo inalterata la propria carica aggressiva, con la successiva “City Lights” i nostri abbandonano momentaneamente le sonorità Power della traccia precedente, a favore di trame più riconducibili all’Heavy classico, tipico (per alcuni aspetti) del sound dei primissimi Iron Maiden (quelli di “Killers”). Notevole è in ogni caso il risultato finale, che permette all’album di viaggiare ancora su alti livelli qualitativi.
Un pulsante e sulfureo giro di basso anticipa la veloce “Gods Must Be Crazy”, nuova rasoiata Heavy, interamente giocata su velocità elevate e caratterizzata da un refrain rabbioso condotto magistralmente dal bravo singer, il quale resta il protagonista principale anche nella seguente “Waiting For The Miracle”, altro ottimo esempio di Heavy Metal classico (e anni ’80), contraddistinto da un elegante lavoro chitarristico, nonché da un ritornello influenzato notevolmente dal sound – ancora – degli Iron Maiden.
Un ombra, quella della celebre “vergine di ferro”, che torna ad aleggiare minacciosa sul pregevole lavoro svolto dal combo tedesco anche nella successiva “Hear You Scream”, ottima nel suo prosieguo e caratterizzata da un buon assolo di chitarra nell’evocativo intermezzo.
Forti echi Maideniani tornano a palesarsi in modo tangibile pure nella atmosferica “Coming Back To Life”, brano che se da un parte dimostra ancora una volta l’innegabile talento del giovane quartetto teutonico, dall’altra sembra sottolineare una fastidiosa carenza di soluzioni personali, aspetto che a tratti porta il songwriting della band a perdersi in un calderone di melodie già ampiamente sfruttate decine di altre volte da molti altri e ben più noti colleghi.
Le seguenti e conclusive “Running Around In Circles” e “God’s Army”, purtroppo non aggiungono nulla di nuovo al sound del gruppo, ponendosi a sigillo di un esordio nel complesso discreto e ben confezionato, per quanto ben lontano da qualunque parvenza d’originalità.
Si spera che il gruppo riesca ad imparare dai propri errori, trovando al più presto una più definita identità musicale tale da permettere di poter raggiungere risultati maggiormente incisivi nel prossimo futuro.