Recensione: Gods of Violence
Uno sguardo al passato
Una delle uscite più attese di questo 2017 arriva proprio a inizio anno, negli ultimi giorni di gennaio. Stiamo parlando di Gods of Violence, quattordicesimo album dei leggendari thrasher tedeschi Kreator. Il quartetto di Essen esordì nel lontano 1985, diventando presto uno dei pilastri del thrash europeo, forse la punta di diamante della scena tedesca. Inanellò una serie di dischi che divennero presto manifesto di un certo modo di intendere il metal, pubblicando, nel 1990, Coma of Souls, uno degli assoluti capolavori del genere. Album capace di mescolare tecnica, melodia e rabbia come pochi altri album hanno saputo esprimere. Lavoro importantissimo nella storia della band capitanata dal carismatico Mille Petrozza che, forse, resosi conto di aver realizzato un’opera difficilmente ripetibile nel breve periodo o, più semplicemente, per un desiderio di cambiamento, con il successivo platter virò verso una direzione sperimentale, ben lontana dai canoni cui i Kreator ci avevano abituato sino a quel momento.
Un percorso nuovo, che caratterizzò tutti gli anni Novanta della produzione dei Kreator. Periodo incompreso e criticato all’epoca, rivalutato ora. Quattro furono le uscite di quel decennio, di cui citiamo, in particolare, Outcast e Endorama. Proprio dopo Endorama, forse l’album più controverso del quarteto tedesco ma, per chi sta scrivendo queste righe, un lavoro coraggioso, capace di uscire dai soliti schemi e che mise in mostra una grande duttilità e personalità da parte della band, Petrozza decise che era giunto il momento di cambiare nuovamente. Fu così che con Violent Revolution i nostri tornarono alle origini, allo stile che li consacrò come uno degli act principali e più influenti della musica dura. Un ritorno al passato, avendo ben chiaro in mente in quale decade ci trovassimo, mettendo in luce, quindi, i frutti dell’evoluzione e maturazione avuta nel corso degli anni. La storia ora è recente e i Kreator, dopo aver riconquistato il trono (giusto per citare una canzone di Violent Revolution), pubblicano quello che può esser definito, fino a questo momento, il loro miglior disco del nuovo millennio: Enemy of God. Un periodo, questo, capace di regalare molte soddisfazioni ai Kreator e che ci conduce al 2012, anno in cui, i Nostri, pubblicarono Phantom Antichrist. Album che, pur rispettando quanto messo in mostra dal quartetto tedesco nel corso negli anni Duemila, presenta alcuni elementi capaci di far presagire un cambiamento, una possibile nuova mutazione. Pur mantenendo il classico impatto in pieno stile Kreator, viene data maggiore attenzione al lato melodico, con delle componenti dal retrogusto swedish. Il disco venne accolto con entusiasmo dai fan ma, allo stesso tempo, creò molta curiosità in merito a un possibile nuovo corso di Petrozza & co., curiosità che viene finalmente soddisfatta con Gods of Violence.
Il disco
Introduzione lunga, ma doverosa, per poter comprendere al meglio lo spirito di Petrozza, e come i Kreator siano arrivati a Gods of Violence. In quanto fin qui scritto, non a caso sono stati citati dei dischi, sottolineandone l’importanza di alcuni. In questa quattordicesima fatica, la band di Essen sembra infatti raccogliere tutte le fasi della propria carriera. Dà inoltre continuità a quanto iniziato in Phantom Antichrist, ampliando e approfondendo il percorso che fu solamente accennato in quel full length. Il lavoro delle chitarre, da sempre punto di forza del quartetto, diventa l’assoluto cardine attorno cui ruotano le composizioni. Il guitarwork risulta meno abrasivo rispetto al passato e, rispettando le classiche dinamiche del Petrozza style, diventa più elegante, ricercato, articolato. La melodia riveste un ruolo importantissimo in Gods of Violence, tano che fanno capolino richiami agli Iron Maiden, come nella conclusiva Death Becomes My Light, o di quell’epicità tipicamente barda dei Blind Guardian che furono, che incontriamo in Side by Side. In questa direzione, i ritornelli ricoprono un altro aspetto di estrema rilevanza nell’economia del disco. Tendono a rimanere ben stampati in testa, risultano facilmente memorizzabili, con il sicuro obiettivo di far cantare le folle in sede live. Sia ben chiaro, stiamo pur sempre parlando dei Kreator. Non spaventiamoci. Gods of Violence è un disco thrash metal, al suo interno, però, in maniera più marcata che nel recente passato, fanno capolino elementi che arricchiscono, e allo stesso tempo alleggeriscono, il sound del quartetto, come se i Nostri puntassero verso una direzione più mainstream, cercando di mantenere inalterata una certa violenza di fondo. Forse è proprio questa la chiave di lettura che ci permette di comprendere al meglio l’album e quello che, a tutti gli effetti, sembra il nuovo corso della formazione tedesca. Ci troviamo così al cospetto di bordate thrash, in puro Kreator sound, come World war Now o Totalitarian Terror, a canzoni che vanno a mescolare impatto e melodia, thrash e heavy, come Lion with Eagle Wings, il cui ritornello si lascia cantare già durante il primo ascolto. È inoltre importante sottolineare che, per realizzare questa nuova soluzione stilistica, la band tedesca, come detto in precedenza, inserisce dei richiami ad alcuni dischi del proprio passato. Ecco quindi che fanno capolino dei passaggi figli diretti di Endorama, riscontrabili in alcuni frangenti di canzoni come Fallen Brother e nelle già citate Death Becomes My Light e Lion with Eagle Wings, e troviamo echi di Coma of Souls in Army of Storms. L’ombra del passato viene perfettamente amalgamata con quel tratto, chiaramente distinguibile, che i Kreator hanno messo in luce dall’avvento del Duemila in poi.
Ma quindi, com’è il disco? Se fino a questo momento abbiamo parlato dei suoi aspetti positivi, cercando di dare una chiave di lettura a quella che sembra essere una nuova fase di mutamento per i Kreator, va però detto che Gods of Violence, nei suoi cinquanta minuti di durata, presenta alti e bassi. Canzoni dannatamente convincenti, siano vere e proprie frustate thrash o song in cui la componente thrash si mescola a quanto descritto in precedenza, si alternano ad alcuni capitoli meno ispirati. È il caso di Satan is Real che, sebbene abbia delle liriche ricercate, dal punto di vista della struttura e dello sviluppo risulta essere una delle tracce meno coinvolgenti del lotto. A partire dal ritornello, che punta alla facile presa in sede live, rivelandosi però estremamente scontato. Petrozza ci ha abituato a linee vocali ben più articolate. Citiamo anche Hail to the Hordes, una sorta di marcia epica, in cui trovano maggiore utilizzo alcuni chorus e soluzioni melodiche accennate nel precedente full length in From Flood into Fire, che lascia, però, poco di sé ad ascolto finito. Va inoltre detto che, in alcune canzoni, il tentativo di unire la vecchia anima dei Kreator a quello che sembra il nuovo corso della band, al maggior utilizzo della melodia, a soluzione più heavy oriented, risulta ancora un po’ forzato, facendo perdere, a tratti, compattezza all’insieme.
Due parole vanno spese per la prestazione dei singoli che, se mai vi fossero dubbi, risulta essere di prim’ordine. Spiccano, in particolare, un Ventor in forma strepitosa e un Yli-Sirniö che sembra avere maggiore libertà di espressione. I suoi assoli, i lick melodici inseriti nelle varie tracce, si lasciano letteralmente cantare ed esibiscono una grande perizia tecnica. Senza dimenticare i testi di Petrozza, sempre pronto ad analizzare in maniera personale ciò che accade nel mondo contemporaneo.
Conclusioni
Da quanto fin qui detto, come considerare Gods of Violence? Come un disco che sembra essere di passaggio, un lavoro che, continuando e ampliando quanto iniziato con Phantom Antichrist, sembra indirizzare i Kreator verso un nuovo mutamento. In quanto disco di passaggio, presenta dei picchi compositivi elevati e altri capitoli un po’ meno ispirati. In entrambe le facce dell’album, però, sono facilmente riconoscibili quegli elementi che rappresentano la novità nel sound dei Kreator. Un lavoro che raffigura il secondo step verso quella dimensione mainstream (termine da prendere con le pinze, ovviamente) che dovrebbe trovare la propria definizione nel prossimo full length. Un percorso la cui realizzazione crea curiosità e aspettative elevate, considerando quello che potrebbe significare per i Kreator. Curiosità che richiederanno ancora qualche anno prima di poter essere soddisfatte. Inutile, quindi, pensare troppo al futuro, meglio restare concentrati sul presente e godersi questo Gods of Violence. Un album che, sebbene, come approfondito in fase di analisi, presenti qualche piccolo passaggio meno ispirato, saprà regalare più di qualche soddisfazione.
Marco Donè