Recensione: Godspeed On the Devil’s Thunder
A distanza di due anni dal discusso “Thornography”, i Cradle of Filth tornano a farsi sentire con il loro ottavo album in studio. Lo fanno, si potrebbe dire, in pompa magna, annunciando ai quattro venti che questo disco è il più impegnativo concept album da loro mai prodotto e, soprattutto, che il sound del gruppo è tornato ai fasti di “Midian” e “Cruelty and the Beast”. Decisamente si tratta di parole forti che da una parte han fatto scorrere brividi di piacere lungo la schiena ai fan della prima ora, dall’altra han lasciato un po’ tiepidi gli ascoltatori abituati ai mirabolanti annunci spesso non rispettati.
Prima della disamina dell’album, concediamoci un attimo di approfondimento sul tema del concept che vi sta alle spalle.
Protagonista indiscusso è Gilles De Montmorency-Laval, barone di Rais, nobile francese del 1400, generale dell’esercito di Giovanna d’Arco, eroe della guerra contro gli inglesi, fervente sostenitore della pulzella d’Orleans e, non ultimo, occultista, pederasta e uno dei più grandi serial-killer di tutti i tempi.
Brillante studioso, fin dall’infanzia dimostra una spiccata attitudine per le lingue, il latino in particolare. Perde entrambi i genitori a soli 11 anni, questo però non sembra bloccare la sua ascesa. Si dedica alla carriera militare e a soli 25 anni, nel 1429, viene nominato Maresciallo di Francia in seguito alla strepitosa vittoria di Patay. Il matrimonio d’interesse con una ricca ereditiera, le vittorie militari e la morte del nonno, lo rendono ben presto uno degli uomini più ricchi del suo tempo. Lasciato l’esercito si dedica a una vita di dissoluzione che ben presto intacca il suo patrimonio in maniera cospicua. È allora che inizia a circondarsi di occultisti e sedicenti maghi alla vaga ricerca della pietra filosofale. Ben presto passa dalle pratiche alchemiche all’adorazione dei demoni e ai sacrifici umani. In due suoi castelli, dopo la sua caduta sotto l’accusa di essere un adoratore del demonio, vennero ritrovati gli scheletri di almeno 200 bambini, principalmente maschi tra i 6 e i 16 anni. Non si esclude che in altri edifici di sua proprietà potessero esservi i resti di altre vittime della sua follia.
Grande condottiero, viene ricordato nei libri di storia principalmente come eroe della guerra contro gli inglesi al fianco di Giovanna d’Arco. Le efferatezze che lo portarono alla morte per impiccagione e rogo a soli 36 anni, invece, hanno fatto si che fosse l’ispirazione principale per il personaggio fiabesco di Barbablù. Figura pertanto complicata, sfaccettata, di difficile comprensione e catalogazione. In pratica ideale per un concept album che non volesse essere banale e in grado di rilanciare le quotazioni di una band ultimamente un po’ in calo.
Il disco si apre con una intro strumentale come è ormai classico per i cd dei Cradle of Filth. Si tratta di un lungo brano sinfonico, con reminiscenze barocche e che presenta, nel finale, la voce narrante di Doug Bradley. Il collegamento automatico è a “Damnation and a Day”, anche questo “Godspeed On the Devil’s Thunder”, infatti, presenta una struttura simile composta di canzoni e brani di collegamento con passaggi narrati. Se il buongiorno si vede dal mattino, direi che siamo sulla strada giusta, ma è troppo presto per gridare al miracolo e sperare già in un capolavoro.
Collegata alla prima e sua naturale evoluzione è “Shut Out of Hell”, canzone veloce, aggressiva, piazzata in apertura per pestare subito sull’acceleratore e far capire all’ascoltatore che certe mollezze del precedente “Thornography” son state lasciate da parte. Indubbiamente è un buon brano che colpisce nel segno e mette in mostra come, nonostante gli svariati cambi di line-up che il gruppo ha subito nel corso di questi anni, la band riesca a trovare un affiatamento tutt’altro che scontato.
Al terzo posto troviamo “The Death of Love”. Sarah Jezebel Deva, che aveva prestato la sua voce in più di un’occasione nel corso degli anni alle canzoni dei vampiri inglesi, ora sembra esser entrata in pianta stabile nel gruppo e non comparire più solo come quest. Da un certo punto di vista è sicuramente un importante e interessante acquisto per la band di Dani Filth, grazie alle sue capacità di singer. D’altra parte questa canzone in particolare, non ci convince del tutto, in primis per il cambiamento di stile di Sarah, da quella voce passionale, bassa, piena di un “Dusk and Her Embrace”, è infatti passata a un cantato gothic fin troppo tradizionale ricordando quasi più la Liv Kristine sentita su “Nymphetamine”. Forse anche per questo motivo, la song è la meno “cradle-style” del disco e risulta così un po’ avulsa dal resto della tracklist.
Si torna dalle parti della seconda traccia con la successiva “The 13th Caesar”. Aperta da un pezzo recitato seguito da un passaggio sinfonico che tanto ci ricorda “Damnation and a Day”, anche soprattutto per via dei cori, ben presto rilascia tutta la sua velocità e potenza. È una canzone elegante, potente, incisiva, in pieno stile Cradle of Filth e in cui Dani sembra anche ritrovare parte dello smalto dietro al microfono che aveva perso negli ultimi anni.
Un altro breve brano interlocutorio come “Tiffauges” ci conduce verso “Tragic Kingdom”, pezzo in cui si sente prepotentemente l’influsso del sound di “Midian”. In verità, a più riprese, sembra proprio di stare ascoltando di nuovo quell’album e non è una sensazione tanto negativa dopo le ultime prove in studio della band.
Altro intermezzo recitato e ci troviamo ad ascoltare “Honey and Sulphur”. Si tratta del singolo che aveva preceduto l’uscita dell’album e su cui è stato anche realizzato un primo videoclip promozionale. Coloro che hanno avuto occasione di ascoltarlo in una di queste sue incarnazioni o di vedere il video su YouTube, sapranno già cosa sto per scrivere. Indubbiamente è il brano più innovativo sfornato dai Cradle of Filth da anni e anni, mi riferisco in primis ai cori polifonici che creano un effetto davvero particolare su questa canzone. La dimostrazione che Dani e soci non son ancora morti ma che, quando vogliono, son ancora in grado di stupire e regalare qualcosa di nuovo senza per questo tradire le proprie radici.
Non si son ancora spente le note della traccia precedente, che capiamo il riferimento, negli annunci trionfali, a “Cruelty and the Beast”. Impossibile infatti non fare un salto indietro di dieci anni, a quello che anche allora era un concept su una delle più grandi serial-killer della storia, cioè la concessa Erzsebet Bathory. “Midnight Shadows Crawl to Darken Counsel with Life” prima e “Darkness Incarnate” poi, son due lunghissime suite di 9 minuti l’una che ci portano indietro nel tempo ai tempi dei grandi fasti del gruppo inglese. Probabilmente quanto di meglio può offrire questo disco è tutto contenuto in queste 2 tracce, Cradle of Filth allo stato puro.
A chiudere l’album, prima della outro sinfonica finale, troviamo la titletrack “Godspeed On the Devil’s Thunder”, pezzo violento, veloce, aggressivo che ci lascia con un ultimo guizzo prima della naturale conclusione del disco.
I Cradle of Filth sono tornati, e l’hanno fatto per davvero. Per una volta gli annunci mirabolanti che hanno preceduto l’uscita del disco, si son rivelati esatti. Questo “Godspeed On the Devil’s Thunder” segna un ritorno dei vampiri inglesi a quelle sonorità e a quella potenza che li avevano resi famosi. In particolare credo piacerà agli estimatori di “Damnation and a Day”, dato che ne riprende il gusto per alcune composizioni sinfoniche, i fan della prima ora dei vampiri inglesi, comunque, avranno pane per i loro denti con due suite di assoluto valore. Ora speriamo solo che continuino su questa strada.
Tracklist:
01 In Grandeur and Frankincense Devilment Stirs
02 Shat Out of Hell
03 The Death of Love
04 The 13th Caesar
05 Tiffauges
06 Tragic Kingdom
07 Sweetest Maleficia
08 Honey and Sulphur
09 Midnight Shadows Crawl to Darken Counsel with Life
10 Darkness Incarnate
11 Ten Leagues Beneath Contempt
12 Godspeed On the Devil’s Thunder
13 Corpseflower
Alex “Engash-Krul” Calvi
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