Recensione: Goi, Rode, Goi!
Come spesso accade quando ci si trova dinnanzi a una “supercollaborazione”, la fama di Goi, Rode, Goi! ha preceduto l’uscita dell’album stesso di diversi mesi a causa della risonanza mediatica generata dalla presenza di guest star provenienti da buona parte del “folk metal che conta” in terra Europea.
Gli Arkona non sono mai stati esattamente dei perfetti sconosciuti, sebbene abbiano appena sei anni di esperienza alle spalle; ciò nonosante, il mancato contatto con il mainstream occidentale li ha relegati allo status di gruppo da “addetti ai lavori”, come un rumore di fondo che gravitava attorno alle grandi band europee. Identificare un motivo per il quale una band con 6 anni di carriera e 6 album alle spalle risulti tuttora una specie di brusio nella storia del genere non è semplice; diciamo che la provenienza è, come spesso accade, uno dei più grandi ostacoli alla carriera delle band.
Eppure il pagan dell’est gode di ottimo status tra gli affezionati del genere per via di una purezza di stile e di intenti difficilmente riscontrabile, ormai, nel mainstreamizzato occidente.
Nel loro piccolo gli Arkona hanno viaggiato attraverso generi diversi, iniziando con un coro di zappe e trattori sfociato nel folk trasognato di Vo Slavu Velikim! e tramutatosi a sua volta in un bizzarro esempio di death-folk nell’ottimo Ot Serdca K Nebu, il che lasciava presupporre un movimento più o meno su quegli stessi binari, anche a causa di una spiacevole battuta d’arresto generata dall’abbandono di alcuni membri per mancanza di interesse nel genere.
La partecipazione al Ragnarok Festival del 2008 ha evidentemente giocato un ruolo chiave nella loro evoluzione stilistica, così come l’amicizia cementata con decine di band occidentali tra cui gli svedesi Månegarm, i quali l’hanno voluti come compagni per il release party di Nattväsen.
Ci voleva il carattere di ferro dell’immarcescibile leader Masha “Scream” Arhipova per evitare che un’apertura tanto improvvisa all’occidente minasse il profilo squisitamente russo della produzione Arkoniana; laddove molte band avrebbero ceduto all’acquisizione di ritmi più amichevoli al pubblico occidentale, in favore certamente di una maggiore diffusione mondiale, i nostri quattro moscoviti hanno reagito chiudendosi ancor di più nella glorificazione delle tradizioni del loro paese, proseguendo quel discorso pagan-mitologico nazionalista alimentato dai dettami dell’organizzazione pagana locale “Vyatichi”, di cui tutti i membri fanno parte.
Quasi tutti i brani contengono infatti lunghe parentesi realizzate con strumenti popolari tipici russi, inanellati in movimenti dalla prosodia spiccatamente medievale e inferociti dall’incalzare di chitarre e percussioni tipicamente black metal.
L’eclettismo di Goi, Rode, Goi! lascia senza fiato: l’album è un continuo avvicendarsi di sezioni apparentemente discordanti tra di loro che minano profondamente la fruibilità nel corso dei primissimi ascolti: sembra di trovarsi di fronte al prodotto di una band di pazzi squilibrati che un attimo decidono di affondare nell’epic più atmosferico, salvo esplodere l’attimo dopo in una ballata da taberna irlandese; e cavalcate heavy metal, cori virili, duetti in scream da far impallidire gli Ásmegin più ispirati, silenzi improvvisi, ritorni di fiamma e persino un tumultuoso delirio ai limiti del febbricitante che esplode improvvisamente nel goticissimo ed esilarante gorgheggio che corona la notturna “Liki Bessmertnykh Bogov“.
Goi, Rode, Goi è il visionario diario di un viaggiatore colto nelle esperienze di vita più allucinanti; se Il Milione avesse una colonna sonora, probabilmente questo sarebbe uno degli album più adatti allo scopo. Ostico, osticissimo nel corso dei primi ascolti, si snoda attraverso contributi classici e moderni tra i più disparati; tuttavia nessun membro della band cerca di prendere il sopravvento, caratteristica che spesso invece tormenta altri “supergruppi” come Folkearth o Eluveitie; dell’album rimangono in mente le emozioni e non i singoli strumenti – a parte ovviamente la voce penetrante della cantante che spesso soffoca quella più ruspante e selvatica della controparte maschile, a dire il vero un po’ più adatta al genere ma certamente non altrettanto singolare.
Il Folk Metal è sempre stato un genere che dell’intrattenimento ha fatto credo e bandiera e Finntroll, Korpiklaani, Turisas, Heidevolk sono solo alcuni degli esempi più eclatanti. Ma nulla è lontanamente paragonabile a questo ultimo carico del vagone merci della Transiberiana: eccentrico, originale, vario e fuori dagli schemi, coronato dalla ormai celebre epopea “Na Moey Zemle” che vede in 15 minuti l’avvicendarsi di 18 ospiti di casa Månegarm, Obtest, Skyforger, Menhir, Heidevolk, Ashaena, Svarga… per non parlare del quartetto di archi diretto da Aleksandr Kozlovskiy e del coro femminile del collegio musicale di Mosca diretto da Sofia Sultanova.
Un’esperienza che certamente fa dell’esuberanza il proprio marchio di fabbrica e per questo potrebbe risultare sgradito a una certa frangia di fruitori di folk più lineare e ordinato; con la stessa quantità di riff e di soluzioni melodiche, probabilmente molte band avrebbero composto non meno di 10 album e una tale ricchezza espressiva spesso si tramuta in scelte di mixing un po’ azzardate (una su tutte, la risacca di apertura della title track).
Il livello di godimento di quest’album dipende tutto dal luogo in cui ogni ascoltatore ha posizionato il proprio limite di sopportazione, superato il quale si entra nel campo dell’eccesso. Personalmente ritengo quest’album un po’ troppo ‘schizofrenico’ per i miei gusti, ma qui è davvero questione di soggettività. Da provare.
Daniele “Fenrir” Balestrieri
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TRACKLIST:
1. Гой, Роде, Гой! (Goi, Rode, Goi!)
2. Тропою Неведанной (On The Unknown Trail)
3. Невидаль (The Wonder)
4. На Моей Земле… (In My Land)
5. Притча (The Parable)
6. В Цепях Древней Тайны (In Chains Of Ancient Mystery)
7. Ярило (Yarilo)
8. Лики Бессмертных Богов (Faces Of Immortal Gods)
9. Коло Нави (Kolo Of Nav)
10. Корочун (Korochun)
11. Память (The Memory)
12. Купалец (Kupalets)
13. Аркона (Arkona)
14. Небо Хмурое, Тучи Мрачные… (Sullen Sky Lurid Clouds)
Ospiti:
Vladimir “Volk” : Gaita Gallega, “Korochun”
Vladimir Cherepovskiy (Pfeyffer, Coda) : Fiati
Ilya “Wolfenhirt” (Svarga) : Cori
Aleksandr “Shmel” (Rarog, Kalevala) : Cori
Aleksandr “Olen” (Kalevala) : Accordion
Erik Grawsio (Månegarm) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Jan Liljekvist (Månegarm) : Violino, Flauto (“Na Moey Zemle”)
Baalberith (Obtest) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Sadlave (Obtest) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Peter (Skyforger) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Edgar “Zirgs”(Skyforger) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Kaspars (Skyforger) : Flauto di pan, Kokle (“Na Moey Zemle”)
Heiko Gerull (Menhir) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Joris “Boghtdrincker” (Heidevolk) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Mark “Splintervuyscht” (Heidevolk) : Voce (“Na Moey Zemle”)
Cosmin “Hultanu” Duduc (Ashaena) : Tulnic (“Goi, Rode, Goi!”)
Vasiliy Derevyanniy : Domra (“Nebo Hmuroe, Tuchi
Mrachniye”, “Yarilo”)
Dmitriy “Vetrodar” (Tverd) : Mandolino (“Nebo Hmuroe, Tuchi Mrachniye”)
Inoltre: Quartetto di archi sotto la direzione di Aleksandr Kozlovskiy. Coro femminile del collegio musicale di stato condotto da Sofia Sultanova.