Recensione: Goliath

Di Stefano Burini - 28 Gennaio 2014 - 0:21
Goliath
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
Nazione:
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70

Quando ci si imbatte in gruppi “atipici” (per usare un eufemismo) come le Butcher Babies, il sentore di operazione commerciale è irrimediabilmente pungente. E di certo il quintetto proveniente da Los Angeles non fa nulla per allontanare ombre e sospetti  di questo tipo, sbattendo in prima pagina ad ogni occasione le, senza dubbio notevolissime, doti estetiche di Heidi Shepherd e Carla Harvey, ex play-mate e moderne amazzoni portatrici del verbo dello “slut metal”.
 
«E che sarà mai – vi starete giustamente chiedendo – cotesto “nuovo” sotto-genere a prima vista più affine alla categorizzazione di qualche sito a luci rosse che non al nostro amato metallo?». Beh la risposta è molto semplice: un mix (i più malevoli leggano pure “coacervo”) di quanto c’è oggi in giro di “à la page” e “di tendenza” in campo Metal. Un mischione tamarro e ipertrofico di metalcore, groove e alternative metal, sorretto dal rifferama perpetuo di Henry Flury e dalla robusta impalcatura ritmica costruita, mattonata su mattonata, dal basso di Jason Klein e dalla batteria di Chrissy Warner: una base strumentale sicura ed efficace su cui si stagliano le voci ora belluine ed ora più melodiche delle due frontwomen.
 
Della difficoltà nel trattare un progetto dai tratti piuttosto inconsueti e dalla spudorata provocatorietà si è detto; eppure, quando s’ha da parlare di musica, il compito principale del recensore di turno è proprio quello di rimanere obiettivo. Dare un plusvalore alla musica delle Butcher Babies solo in virtù di misure degne di Penthouse e di pose ammiccanti  sarebbe certamente ingiusto; d’altro canto affossare un album per partito preso, a partire dagli stessi motivi, sarebbe altrettanto sbagliato.
 
Già, perché che ci crediate o no “Goliath” è un album a suo modo divertente e gradevole da ascoltare; a patto, ovviamente. di sapere a che cosa si stia andando incontro. Le canzoni si giocano tutte all’incirca sulle stesse coordinate, tra sonorità di matrice alternative/metalcore, derive Panteresche e ritornelli melodici quasi sempre catchy e riusciti (e perlopiù affidati alla Harvey) alternati alle urticanti partiture in screaming di Heidi Shepherd. In questo senso l’apripista “I Smell A Massacre”, primo singolo con annesso videoclip, è un vero e proprio manifesto programmatico, cui la band aderisce con grande convinzione lungo tutto il minutaggio disponibile, andando poi ad arricchire, di volta in volta, la pietanza con distorsioni djent (“Magnolia Blvd” e “C8H18”), ritmiche math (“Grim Sleeper”) e breakdown di matrice *core, senza in ogni caso uscire troppo dal seminato.
 
Proseguendo nell’ascolto si fanno notare la groovy “Goliath”, davvero potente e riuscita, la tesa e temibilissima “The Mirror Never Lies”, una vera e propria mazzata di groove/djent/alternative metal con il valore aggiunto dato dall’ottimo percussionismo di Chrissy Warner, e la granitica “The Deathsurround”. Per quanto ad onor del vero e come anticipato, le canzoni siano in effetti quasi tutte di buon livello e, al tirar delle somme, le ragazze incespichino forse solo sul poco efficace refrain della All Shall Perish-iana “In Denial”.
 
Se i vostri gruppi preferiti sono Manowar e Manilla Road e non avete poi tutta questa voglia di provare qualcosa di (molto) diverso, è meglio che vi teniate alla larga dalle Butcher Babies e dal loro ultimo pargolo “Goliath”. Se invece vi stuzzica il mix di generi all’insegna della violenza ma senza dimenticare quel pizzico di melodia, date loro una possibilità: pregiudizi a parte potreste trovarvi ad ascoltare quest’album molto più spesso di quanto pensavate.

Stefano Burini

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