Recensione: Gore
Se da un lato è evidente che emergere dalla scena underground italiana (e forse ancor di più da quella del Mezzogiorno), non sia mai stata un’impresa esente da difficoltà (bensì irta di ostacoli e di tentazioni illusorie), dall’altro non si può fare a meno di costatare quanto sia fertile il suolo tricolore quanto a band che, non lasciandosi scoraggiare dalle immancabili difficoltà iniziali, si sono rimboccate le maniche e procedono con determinazione e, nonostante tutto, con entusiasmo. Si potrebbe dire che per alcuni, paradossalmente, proprio tutte le varie problematiche, che derivano da questo genere d’insidie, siano state determinanti per forgiarne la tempra: come nel caso degli Zora.
Originari di Vibo Valentia, gli Zora sono fautori di un brutale death metal d’impronta statunitense e solo dopo alcuni anni di dura ma proficua gavetta riescono a pubblicare il primo album sulla lunga distanza. La prima formazione, infatti, risale al 2003 dopo aver adottato come moniker il nome del ‘feroce’ pitbull di un loro caro amico. L’anno successivo danno alle stampe un demo (“Dismember Human Race”), seguito poi da un EP (“U.V.A.” del 2005) e un paio di split album in compagnia di Sickening, Land Of Hate, Deathcrust e Smashhead. Nel 2007 entrano negli studi Sound Farm (CZ) di Gianluca Molé per registrare il primo full-length, “Gore”. Tuttavia la label americana Malicious Intent Records, (che solo un paio di anni prima li aveva scritturati), chiude i battenti e costringe così i Nostri a posticiparne l’uscita di ben tre anni e cioè dopo essersi accasati presso l’etichetta austriaca Bloodred Horizon Records, in grado di occuparsi anche della distribuzione.
L’intento del combo calabrese è quello di comporre e suonare musica per riversare in essa e nelle liriche sentimenti come ansia, frustrazione o odio puro: una sorta di valvola di sfogo. Scorrendo il libretto e relativi testi non si può fare a meno di notare il riferimento costante alla vita di tutti i giorni, con una lucida e critica disamina della società attuale (tema solitamente legato all’hardcore o al thrash), invece che parlare di serial killer, storie orrorifiche o qualche malvagia divinità dal nome impronunciabile. La musica non è da meno quanto a crudezza: vi sembrerà quasi di percorrere alla rovescia la scala evolutiva, per fare ritorno alla condizione primitiva originaria di uomo delle caverne, la lotta per la sopravvivenza e la legge del più forte.
Sensazione che diventa praticamente palpabile fin dalle prime, rudi, battute di “Hipocrisy”, traccia caratterizzate dal bassissimo growl di Pascale e dai suoi ruvidi riff squadrati e convulsi. Positivo anche l’incessante contributo della sezione ritmica, forte del vario e poderoso drumming di Di Meco e delle vigorose cavalcate al basso di TatO. Quando serve i Nostri riescono ad erigere un imponente muro di suono da far invidia ad altri gruppi a quattro o più elementi, senza usare lo stratagemma dell’iper-produzione, che solitamente tende a soffocare i singoli strumenti. Le dieci canzoni che compongono l’album si assestano tutte su un buon livello per merito di un songwriting fresco ed estremamente istintivo, che trae ispirazione dai nomi di spicco d’oltreoceano come Cannibal Corpse, Monstrosity, Deicide e affini. Facendo un paragone ardito, sembrano un po’ la versione estremizzata dei Nasty Savage per la particolare cadenza animalesca e per l’attitudine e le composizioni selvagge (volutamente, tutt’altro che raffinate), come nel caso di “Humanimals”, “Sign Your Body”, “Hate Me” o “Escape” (dalla partenza in stile Suffocation). Non mancano poi brani che spiccano sugli altri come “R.I.P.”, un concentrato di velocità in meno di due minuti, la devastante title-track dai riff frenetici che rimandano a certe soluzioni di “The Bleeding” dei Cannibal Corpse e, ancora, la ferina “Kill Who Kill You” e “Enslaved By The Pigs” (con chiaro riferimento alla classe politica). In chiusura troviamo la valida, anche se non originalissima “Pachidermik”, che ricorda alcuni dei brani rallentati dei Morbid Angel come “Where The Slime Live”, “Nothing Is Not” et similia.
Gli Zora, grazie al convincente debutto “Gore”, dimostrano di essere una band promettente e in fin dei conti già matura. Ciò non stupisce se si considera che due terzi della band (e il produttore) militano anche nei Glacial Fear, Gianluca Molé e TatO negli A Buried Existence e quest’ultimo collabora dal vivo anche con gli Schizo. In attesa di una prossima riconferma, com’è auspicabile, consiglio l’ascolto a tutti i deathster.
Orso “Orso80” Comellini
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Tracce:
1. Hipocrisy 3:37
2. Humanimals 2:37
3. R.I.P. 1:44
4. Sign Your Body 2:55
5. Gore 3:03
6. Hate Me 2:53
7. Kill Who Kill You 2:57
8. Enslaved By The Pigs 2:36
9. Escape 3:30
10. Pachidermik 2:43
Durata 30 min.
Formazione:
Peppe Pascale – Voce, chitarra
Giuseppe “TatO” Tatangelo – Basso
Alessandro Di Meco – Batteria