Recensione: Gorma
Moniker ed immagine “sudista” per gli esordienti 3 Mexicans From Gorma, gruppo veronese fondato nel corso del 2007, giunto sulle scene come l’ennesima band suggestionata da suoni polverosi ed imbottiti di chitarre ribassate nel pieno rispetto della filosofia stoner, corrente stilistica sempre più frequentata ed apprezzata anche alle nostre latitudini.
Per analizzare quanto offerto nel primo full length dal trio veneto, è necessario suddividerne la proposta in tre componenti specifiche.
Una parte concettuale, una prettamente riferita alla qualità della musica, ed una interpretativa.
“Gorma”, nasce animato da un intento tanto ambizioso quanto di difficile e rischiosa riuscita. Coniugare una metaforica storia d’oscurità e decadenza, con le atmosfere fumose e criptiche care allo stoner rock, contestualizzando la vicenda in un ambiente western, dal taglio però insolito. Non tanto cioè, assimilabile alle classiche situazioni alla “Buono, Brutto e Cattivo”, quanto piuttosto, vicino ad un più moderno horror movie in stile Robert Rodriguez.
“Gorma è un paese fantasma, estraneo e decadente, sperduto nel deserto del Messico, che rispecchia la perdizione, la follia, l’avidità, la pazzia, la cattiveria, il male e l’invidia, purtroppo presenti ancora nel mondo odierno”.
La vicenda si svolge sfruttando una narrazione quasi cinematografica, attraverso la figura di un vecchio cowboy dal nome significativo – Desolated Man – e del suo altrettanto vetusto destriero Jekyll, ghermiti, loro malgrado, dalla mefitica e diabolica aura della città maledetta.
Un concept interessante ed ardito nella formulazione, non privo di qualche spunto di natura filosofica, necessariamente attuale e contemporaneo.
Procede di pari passo il contorno musicale del disco, animato da un buon piglio stoner rock che non abbraccia le peculiarità classiche del genere, ma assume toni notevolmente più oscuri e tenebrosi, vicini ad un viscerale approccio doom dal respiro quasi sabbathiano. In luogo delle tipiche divagazioni da pietraia assolata alla “Death Valley”, un qualcosa di più lugubre e claustrofobico, frutto di visioni alquanto più drammatiche e violente degli usuali paesaggi statici da rock del deserto.
Le chitarre, rigorosamente ultra ribassate, tuonano compatte e descrivono litanie luciferine, stagliandosi al di sopra d’ogni altro suono per assumere il ruolo principale e dominante. I ritmi, mai troppo accesi, contribuiscono a delineare atmosfere sulfuree e caliginose.
Non mancano ad ogni modo passaggi più vari, in alcuni casi dotati di uno spirito country blues dai risvolti leggermente allucinati” , in altri permeati da una vena malinconica e decadente, a segnare ulteriori elementi utili a fornire connotazioni “visionarie” al disco.
Poco presenti le voci, spesso lasciate in secondo piano ed utilizzate per lo più come una sorta d’ipnotica cantilena, forse, non sempre di massima efficacia.
L’aspetto che meno convince, è invece quello legato all’interpretazione vera e propria del concept, un po’ in “sofferenza” se paragonato alla bontà degli altri elementi.
Una pronuncia della lingua inglese da perfezionare, una statura narrativa non proprio alla Orson Wells e parti recitate a volte improbabili, tolgono alcuni punti al risultato complessivo.
Non molto realistica ad esempio, la figura del vecchio cowboy, reso con una poco credibile voce da trentenne che – particolare solare anche all’orecchio meno esperto – non presenta poi nemmeno differenze marcate con quella del piccolo Mariachi incontrato sulle polverose strade di Gorma o del diabolico barista del Saloon. Tutti i personaggi sono impersonati da un unico interprete, il leader del gruppo Luigi Calzavara: encomiabile lo sforzo, ma con ogni probabilità, l’utilizzo di voci maggiormente focalizzate sulle caratteristiche dei singoli protagonisti avrebbe giovato parecchio, fornendo risultati meno “amatoriali”.
Meglio dunque, lasciar parlare la musica: quando, infatti, il trio lascia smulinare senza freno gli strumenti, i valori aumentano in maniera esponenziale con riscontri interessanti in cui possono finalmente emergere le notevoli potenzialità del gruppo veronese. È il caso, per citare un paio di esempi, della oscura “Intermission” e della terremotante “Wah Wah”, due brani che meglio rappresentano il buon valore e le migliori caratteristiche dei tre “messicani”.
Una proposta stoner-doom con venature southern piuttosto gradevole, un concept di discreto spessore e qualche ingenuità evidente, ma non tale da pregiudicarne il risultato complessivo, rendono pertanto archiviabile la prima opera dei 3 Mexicans From Gorma nello scaffale delle autoproduzioni degne d’un minimo d’attenzione e con qualche possibilità per il futuro.
Le idee non mancano, la confezione ben curata, le canzoni piacevoli e l’immagine del gruppo senza dubbio in grado di catturare simpatie. Non fosse altro che per la funambolica descrizione che i tre musicisti coniano appositamente per la loro musica: “Fucking, Hard, Mexican, Stoner Music”!
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Tracklist:
Act 1
Preface/back to te desert…
01. Intro
02. Intermission
03. Desolated Man
04. First Day, Jen…When I See You…
05. A Dreamer On The Moon
Act 2
Encounter with the demon and the Mariachi…
06. Mariachi Song (scotch sketch)
07. Wah Wah
08. Precarious Hollywood
09. Inside Gorma
10. Outro
Line Up:
Luigi Calzavara – Voce / Chitarra
Marco Dal Molin – Bass
Igor Lanaro – Batteria